Il 24 maggio 1915, esattamente un secolo fa, l’Italia entrava in guerra. Una guerra per certi versi edulcorata dalla nostra memoria storica, o soppiantata nelle cronache dalla successiva, forse perché meno facile da addomesticare all’etichetta “buoni contro cattivi” che ha invece caratterizzato l’altra. Restano i libri a raccontarla, in tutto il suo tremendo splendore e la sua insensatezza. Guerra tutta di chiaroscuri, di cialtronerie e bassezze infinite, di politica infame e sorda alle voci straziate di tanti giovani sacrificati alla gloria degli altri, voci che chiedevano quale colpa avessero da venir gettati così nel tritacarne. I meno ingenui, i borghesi partiti volontari, provavano a dare un senso al loro destino e dopo i primi schiaffi di realtà si ritrovavano invecchiati prematuramente e pronti a lasciare al mondo il loro testamento. «Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue» scrive dalle linee nemiche un giovane ingannato dal romanticismo della guerra (Erich Maria Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale). Ma non era il solo. Altre opere bellissime, con cui siamo cresciuti, scritte in quel conflitto sono state il romanzo senza lieto fine di un ausiliario americano che diserta per amore di un’infermiera (Addio alle armi di Ernest Hemingway), e il reportage senza sconti di un giornalista che irride l’inadeguatezza del nostro comando militare (Viva Caporetto! di Curzio Malaparte). Ma soprattutto dobbiamo ricordare un libro piccolo scritto sul campo di battaglia, come un diario che celebrasse in poesia ogni nuovo giorno di sopravvivenza: Il Porto sepolto di Giuseppe Ungaretti (diventato poi L’allegria). Pubblicato nel 1916 quel libro più di tutti perforò, proprio come fece la guerra con l’Europa ottocentesca, il petto gonfio della lirica ufficiale e reinventò il mondo a partire dal suo atomo, ovvero dalla semplice parola.
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
[Valloncello dell’Albero Isolato, 16 Agosto 1916]
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