Quasi fosse consapevole della fragilità e infedeltà cui vanno soggetti i sensi e le facoltà dell’uomo, una poesia mira alla memoria umana. A questo fine essa adotta una forma che è essenzialmente un congegno mnemonico tale da permettere al cervello di trattenere un mondo – semplificando anche il compito di trattenerlo – quando il resto della carcassa comincia a cedere. Di solito la memoria è l’ultima a partire, come se cercasse di registrare le fasi della partenza. Così può accadere che una poesia sia l’ultima cosa a staccarsi dalle povere labbra di un vecchio.
[Iosif Brodskij, Il figlio della civiltà, trad. Gilberto Forti, in Fuga da Bisanzio, pag. 91, Adelphi 1986]
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