La legge delle probabilità non perdona, così anche a me, come a tutti prima o poi, stasera è capitata la tuttologa. Se n’è arrivata in pieno post-novecento, proferendo come il suo poeta preferito sia Giacomo Leopardi, ma letto attraverso Severino. Da sola infatti non avrebbe mai capito che A se stesso fosse un canto dalla viscere e non dall’universo finto mistico in cui si pavoneggia. Poi critica il mio libro, il mio Bestiario, di cui non ha ascoltato un solo verso né una spiegazione, asserendo che dell’«intellighenzia» sono degno, perché da un piedistallo mi permetto di puntare il dito contro gli altri definendoli maiali, pur nella loro naturalità di porci. E quando poi, di nuovo, interrompendo la mia presentazione, mi chiede di definire da una mia poesia la parola «tutto» (cito il verso: «e se non posso avere tutto, allora non voglio nulla», a cui risponde indispettiva: «definisci cosa intenti per tutto!»), lei da vera tuttologa si risponde da sé, citando Severino, né si può capire nulla del suo punto di vista, nulla che valga del «tutto», se non si è visto Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, scusandosi poi con gli altri spettatori se cita un film che probabilmente non conoscono. Conclude, da brava tuttologa, che questo succede perché ci mancano le basi storiche, e in fondo in Italia sono tutti mafiosi. Non certo lei che, pur italiana, continua a cantare a se stessa il suo mondo finto mistico in cui si pavoneggia, dove non c’è spazio per nessuno che non sia Severino.
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