venerdì 24 agosto 2018

per lorca

Sono alcuni giorni che vedo girare un post in cui c'è la foto di un comunista che alza il pugno prima di venire fucilato. Sopra la foto c'è un testo che ricorda l'anniversario della morte di Federico Garcìa Lorca, e secondo cui Lorca prima di morire avrebbe declamato un ultimo inno alla libertà. Ma non è vero. Lorca era sì un poeta e un drammaturgo che denunciava l'ipocrisia della società spagnola che soffocava il desiderio dei giovani nel sangue marcio della famiglia e della religione, ma non era un soldato. Venne catturato dai franchisti perché “socialista e massone” ma fucilato perché “dedito a pratiche aberranti come l’omosessualità”. E delle sue ultime ore non resta più nulla, nessuna traccia, tutto accuratamente cancellato, persino il luogo in cui fu sepolto. Qualche testimone disse che nelle ultime ore chiese un prete, qualcun altro che, mentre andava a morire, piangeva. Tentativi di infangarne la memoria insinuando che aveva paura, rispondono altri. Ma perché non avrebbe dovuto avere paura? Perché volerlo trasformare a tutti i costi in un eroe senza macchia della rivoluzione, pronto a immolare la propria vita in nome di un sogno di libertà scritto da altri? Sembra quasi, all’inverso, lo stesso trattamento riservatogli da chi lo uccideva perché non si allineava alla moralità del regime franchista. Lorca è un simbolo, è vero. Ma non serve mettergli in bocca inni posticci alla libertà. Basterebbe ricordarlo per ciò che era per evidenziare l’infamia della sua morte: un uomo giovane e sensibile, che non aveva mai fatto male a nessuno, il cui talento venne sprecato perché, amando la vita, aveva voglia di viverla a modo suo.

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