Il giorno dopo ci vanno tutti in TV, come Cassandre del giorno dopo, a ripetere come si poteva evitare ciò che si sapeva ma non era prevedibile che succedesse proprio il giorno prima. Giornalisti ed esperti, opinionisti alle prime armi, gente con un pensiero unico in testa, politici contriti o agguerriti e pronti a fare ciò che va fatto ma sempre dopo e troppo tardi, con o contro qualcuno; i sindaci, la protezione civile, chi ripete che «questo non è il momento delle polemiche», le vittime senza più casa né parenti, i cani sciolti, i poveracci, gli inviati alla prima ribalta televisiva, quelli che non pensavano, quelli che in quattro e quattr’otto tirano fuori una raccolta fondi per le vittime e ci campa. E mai nessuno che squadri in faccia i volti degli abusivi e delle giunte, degli Uffici tecnici coinvolti, dei corrotti che fanno l’occhiolino a chi dà i voti in cambio di un condono, di un permesso per palazzinari e costruttori, dei cretini, di chi appalta e fa i controlli ad occhi chiusi, non immaginando, non pensando, non sapendo, di tutti coloro che si sono arricchiti o hanno semplicemente lavorato sapendo di rischiare, ma finché non succedeva tu prova, prova, che male c’è a provare, è questa la regola generale, andare avanti fino all’emergenza, che tanto i danni poi paga lo Stato. Così tutto monta e diventa come nulla, come ogni volta, un violento baraccone mediatico in cui ciascuno fa la sua parte, recita a soggetto, e più degli altri chi sul disastro ci fatica, perché se tutto è produzione e commercio allora anche il disastro è attività produttiva. Mi sono ricordato all’Aquila dieci anni fa, in mezzo allo sfacelo di palazzi antichi sul punto di crollare, ma puntellati a ogni centimetro da tonnellate di impalcature che li nascondevano, quasi sostituivano, un pompiere stanco morto di aspettare tre anni di stipendi arretrati. E mi sono chiesto se almeno lui nel frattempo l’hanno pagato.
Nessun commento:
Posta un commento