Stamattina rileggevo POLVERE, di Bordini e mentre leggevo e mi perdevo in quel flusso mi chiedevo dove mai finisse la testa di Bordini mentre stava scrivendo, verso quale piano. Poi ho letto MANGIARE, che è un libro pieno di morte, molto feroce, dove c’è una sezione, Materia medica, che è una sorta di lungo prologo alla morte, una visione sviscerata al microscopio, dunque deformata dalla lente d’ingrandimento, della malattia come referto, studiata attraverso la deformazione del corpo, che viene meno e perde dignità, ma come se fosse un dato acquisito, senza più suscitare commozione in chi osserva. Ma subito dopo questa visione così gelida, da sala operatoria, segue una poesia delicatissima sull’arrivo dell’Autunno, e tu leggendola ci senti subito il tocco lieve di Apollinaire, con questo aggrovigliarsi del tempo per cui, subito dopo la malattia come fine, non spinge la rinascita, cioè la primavera, ma arriva una stagione più gentile, cioè l’autunno che è la stagione della consapevolezza della morte, che persiste, ma in cui ti puoi gustare ancora le castagne. A quella segue poi Il poema a Trotskij, che in un ipotetico confronto con l’opera del francese sarebbe il corrispettivo della Canzone del male amato, certo passato, ma mai dimenticato, perché conserva dentro il gusto delle caldarroste.
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