Poco fa ho visto un video di Andrea Temporelli sul senso delle agenzie letterarie, che partiva dalla classica domanda: servono? Come i corsi di scrittura. Un’altra domanda che vedo girare sui social da un po’ è: a che servono gli editori? Questo me lo chiedo anch’io. Specie ora che sempre più si sta imponendo il print on demand su larga scala, dove tu ordini una copia di un libro e quelli te la stampano e spediscono a casa a basso costo apposta per te. Ma se questo è il futuro che ci aspetta, le librerie a che servono? A nulla, rispetto ad Amazon. E se ormai c’è l’AI che può soddisfare il bisogno infinito di storie secondo canovacci che piacciono al pubblico pagante, scrivendole in tempo reale senza refusi o bisogno di editing, nella lingua che preferisci e col grado di difficoltà che preferisci, quindi senza i limiti imposti da lingua e stile – né pretendono i diritti! – a che servono gli scrittori? E gli editor? E i traduttori? E i blog degli addetti ai lavori? AIE o ADEI? A che servono? Per il mercato editoriale che verrà, certamente a niente. Se poi uno vuole proprio scrivere può farlo e poi comprarsi le copie del suo libro auto-pubblicato dalla rete, per regalarlo agli amici. Proprio come fa ora. Ma senza più lo status di “scrittore”, perduto. A stretto giro, se parliamo di mercato editoriale, resteranno soltanto le anonime piattaforme di vendita online e il pubblico pagante con un clic. Come nel mercato del porno, dove non conta tanto la profondità dell’esperienza estetica con tutti i suoi riti di avvicinamento e corteggiamento, ma la semplice possibilità di farsi una sega. Ma se tutto si riduce a una sega, a quel punto la domanda sarà: la scrittura serve?
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