Ieri ho visto, come molti, l’intervista di Otto e mezzo al ministro ucraino Kuleba. I commenti sotto i video in rete sono stati tantissimi e quelli più contrariati vanno da “era penosamente in difficoltà” a “era in malafede” a “era completamente fuori a paragonare la guerra a una partita di calcio”. La tocco con leggerezza, visto che presumo che Kuleba sia una persona preparata per il ruolo che ricopre: io ho avuto la sensazione che abbia tirato fuori la metafora del calcio proprio perché sapeva di parlare a una tv italiana, quindi ha tarato i suoi argomenti di persuasione (per due volte) in base a quelle che credeva fossero le competenze e i gusti del suo pubblico. Escludendo la mafia, poteva scegliere fra la cucina e il calcio e si è lanciato sul calcio. Così l’ho vista io. E mi sono chiesto se ce lo meritiamo. E mi sono anche chiesto che sarebbe successo se invece di parlare del Milan avesse citato qualche massima che ne so dalla Gerusalemme Liberata o da Svetonio, come pure fanno all’estero quando condiscono i discorsi pubblici per dargli anche un peso retorico, o come quando Renzi citò Borges ma sbagliò la citazione copia-incollando i versi di un altro dalla rete, perché probabilmente né lui né il suo ufficio stampa lo avevano mai letto. Qualsiasi possibile metafora, in quel caso, mi sa che sarebbe finita nel vuoto.
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