Ho letto ora la notizia che Dylan sta snobbando con molta nonchalance la cerimonia del Nobel e a me viene in mente (da quando l'ho saputa) la storia che Luzi ci sperava così tanto nel Nobel che si era pure comprato l'abito buono, prima che il premio glielo soffiasse Fo, o quell'altra di Quasimodo che andò in giro elemosinando favori a destra e a manca per arrivarci, scatenando le ire di Ungaretti. E devo dire che, per quanto appartenga più alla seconda categoria (quella dei poeti alla Luzi o Quasimodo) che non alla prima (quella di Dylan ma anche di Zeichen o Bellezza, volendo fare altri nomi), vorrei avere ogni tanto maggiore libertà di scelta, come quella di Dylan: la possibilità di poter dire anche no, non mi va, ho mal di testa, oppure non sono d'accordo, oppure scusate ho un altro impegno quel giorno, per il solo fatto che la poesia per vivere ha bisogno solo di esserci e non di premi e riconoscimenti. Invece se mi dicessero che ho vinto il Nobel io ci andrei, spero non con l'abito di Luzi, ma ci andrei, per il premio e per la difesa della poesia, certo, ma soprattutto per i soldi. Proprio come ha fatto Montale, che poi la Spaziani diceva essere un gran tirchio nell'intimità.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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mercoledì 16 novembre 2016
lunedì 15 ottobre 2012
montale e la volpe
L’ultima visita la ricordo in modo particolare. Non c’era nessun altro. Volevo presentargli la piccola Oriana. La guardò a lungo, le fece un segno della croce sulla fronte – come faceva a me quando partivo – e a bassa voce mi disse una frase di struggente dolcezza, un’altra petite phrase o uno dei suoi “amuleti”, un suo verso che io sola conosco, che mi accompagnerà sempre e che mi ripeto come una preghiera. Tradotta in prosa quotidiana, significa che in una futura esistenza avremmo saputo organizzarci meglio.
(Maria Luisa Spaziani)
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