sabato 9 giugno 2012

layla, e la continua ricerca del tempo fuori dal tempo



Per Francesca, che su pezzi come questo si emoziona sempre

Il pezzo che pubblico è così famoso che molti di voi lo conoscono di certo, Layla di Eric Clapton, pubblicato per la prima volta nel 1970 su “Layla and Other Assorted Love Songs”, disco uscito a nome Derek and the Dominos e unico lavoro di studio di quel supergruppo formato tra gli altri dal grandissimo Duane Allman, che di quella canzone creò il riff. Qui è in una versione molto bella, arrangiata in chiave acustica insieme a Marcus Miller (famoso, per chi non lo conoscesse, come il più stretto collaboratore di Miles Davis negli ultimi anni), e presentata dai due al festival jazz di Montreux, nel 1997, durante il tour europeo di un gruppo formato per l’occasione da Miller, e comprendente Joe Sample al piano, David Sanborn al sax, Steve Gadd alle percussioni più Miller al basso e al clarinetto basso ed Eric Clapton alla chitarra e alla voce. Il gruppo era denominato Legends.
Più che di un singolo pezzo in realtà si dovrebbe parlare di un medley, visto che la performance si apre con una versione minimale e notturna di In a Sentimental Mood, standard scritto da Duke Ellington nel 1935 e suonato dalla formazione senza Clapton: è un tema romantico, in cui l’assolo al clarinetto basso di Miller la fa da padrone, e serve appunto a introdurre il pezzo di Clapton.
È lo stesso Miller a introdurre le prime note di Layla e quindi l’ingresso sul palco del chitarrista. La sua versione acustica, lenta ma meno blueseggiante di quella proposta cinque anni prima ad Unplugged, è pura bellezza e sembra fatta apposta per cambiare finalmente prospettiva sulla storia di quel pezzo, ampliandone così i significati.
Non so se conoscete il retroscena della canzone. Clapton la scrisse per Pattie Boyd, moglie di George Harrison che all'epoca era il suo migliore amico. Clapton era combattuto fra l’amicizia per George e la passione bruciante per Pattie, e scrisse questo pezzo (oltre all’intero album dei Derek and the Dominos, a tema unico) che si ispirava alle vicissitudini del poeta beduino Quays ibn al-Mulawwah, innamorato senza speranza di sua cugina Layla bint Mahdi ibn Sa’d. Quays, dice la leggenda letteraria, impazzì e vagò da solo, per il resto della sua breve vita, nel deserto, componendo e recitando versi d’amore per la sua amata, andata in sposa a un altro.
Clapton ovviamente rievoca quella leggenda, nell’originale versione rock dei suoi venticinque anni, come espressione del proprio furore amoroso. Ma secondo me il topos originale, quello del poema a cui si ispira la canzone, più che con la vicenda amorosa di due sfortunati amanti contro l’ipocrisia e la grettezza del mondo (un po’ alla Romeo e Giulietta), ha a che fare con la continua insoddisfazione e la ricerca di un irraggiungibile ideale di felicità, tipici della giovinezza.
In questa luce, la versione lenta di Clapton cinquantaduenne, essendo la visione di un uomo ormai maturo e volto al passato piuttosto che al futuro, si adatta ancora meglio a quest’ultima mia impressione. La furia d’amore è ormai estinta e resta soltanto la celebrazione di quella giovinezza, l’estatica contemplazione di un attimo di assoluto equilibrio fra follia e perfezione creativa, per un attimo raggiunto e poi continuamente inseguito sul palco e per la vita, a ogni nuovo concerto.

1 commento:

amanda ha detto...

mi piace assai questa tua idea della ricerca del tempo fuori del tempo, la musica poi fornisce a chi ha il dono di farla e fruirla infiniti appagamenti ad ogni età e di sfide infinite