martedì 12 febbraio 2013

un fuoco nella notte


To build a fire, preparare un fuoco, di Jack London, è uno dei racconti su cui lo scrittore americano si è più speso in vita, riscrivendolo in due diverse versioni, una più lineare del 1902 e una più sfaccettata, ambigua, del 1910.
In entrambe un cercatore d’oro si perde insieme al suo cane mentre attraversa la foresta boreale. È notte, inverno, e la temperatura è scesa 60 gradi sottozero. L’unica soluzione è accendere un fuoco per scaldarsi e tenersi sveglio, sperando che il suo bagliore possa fornire ad altri un segnale per raggiungerlo. L’uomo con grandi difficoltà accende il suo fuoco, poi per un errore lo spegne, allora cerca di uccidere il suo cane per avvolgersi nelle sue viscere, ma il cane fugge. L’uomo muore congelato.
Sembrerebbe uno spietato racconto di frontiera, se non fosse per un particolare – ben evidenziato da Davide Sapienza nella sua traduzione per le edizioni Mattioli 1885 – che può trasformare una bella storia in metafora dell’esistenza, e legato al potere della parola: “to build” scrive London nel titolo del racconto, ovvero, traducendo vocabolario alla mano: costruire, erigere, edificare, plasmare, assemblare, fabbricare, ma non certo accendere. È una differenza fondamentale. Di fronte a quel paesaggio oscuro e ostile, all’immensità gelata che lo circonda, l’uomo non accende semplicemente un fuoco, ma ancora di più lo erige, lo crea, gli dà forma per difendersi dal freddo, dal buio. Quel fuoco diviene l’ultimo baluardo della sua vita prima di essere divorato dalla foresta.
È, per certi versi, il rovesciamento del mito di Prometeo, che ruba il fuoco agli dei per restituirlo agli uomini ed elevarli dallo stato primordiale a quello moderno, che piega la natura al suo volere. Nella storia di London, per cui l’uomo non può trascendere dalla natura, il protagonista, per troppa sicurezza o distrazione spegne il fuoco che potrebbe salvarlo dalla notte e muore solo, abbandonato persino dal suo cane.
Vorrei cominciare così il nuovo anno, usando questo racconto quasi crudele come monito. Nel periodo più buio della nostra storia, in questa notte all’apparenza senza uscita, non abbassiamo la guardia confidando troppo in noi e in quel fuoco che potrebbe spegnersi in qualsiasi momento, o rivelarsi di paglia. Resistiamo alla tentazione del sonno e attendiamo alla nostra fiamma con cura. Teniamo gli occhi aperti!

Articolo uscito su Largo Belllavista n°66, gennaio 2013, nella rubrica Senilità. Nella foto, un’opera dell’artista Oscar Turco.

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