Mi vien da dire, da alleniano convinto, che ogni cinque anni circa c’è qualcuno che dice che Woody Allen è finito, morto, sepolto, superato, e per giunta inutile. Poi torna a fare un bel film ogni quattro carini (negli ultimi venti anni ne ha fatti un sacco carini) e tutti ritornano a dire, sorpresi e un po’ dimenticandosi precedenti affermazioni: “Ah però, Woody Allen, sempre grande lui!”. Woody Allen intanto se ne fotte beatamente e continua a far film, belli, brutti, soltanto carini, non importa, perché lui semplicemente prosegue la propria ricerca. Perché un artista serio non fa le sue cose pensando: “Questo sarà un capolavoro che piacerà a tutti”. Uno fa e basta, al meglio che può, e dà forma alla sua idea. Punto. Il capolavoro, se c’è, ce lo vedono (o ce lo vedranno) gli altri. Riuscirci è una scommessa, non un obbligo morale verso il pubblico. L’unico obbligo è l’onestà dell’intenzione. Poi, se come appassionato ti piace davvero un artista, secondo me, la ricerca in sé (la sua intera produzione vista nel suo insieme, compresi gli errori, i tentativi, gli scarabocchi e le imperfezioni) è più interessante della singola opera. Ed è il motivo per cui, per estensione, di Leonardo o Rembrandt collezioniamo anche gli schizzi. E se proprio si vuole il capolavoro a tutti i costi, per soddisfare il proprio fine palato sempre a caccia di nuove emozioni estetiche, c’è tanta roba in giro, ottima per quanto meno prestigiosa nel nome, basta cercare. Oppure si può sempre tornare ai classici, a cominciare dalla Corazzata Potemkin di famigerata e surreale memoria.
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