domenica 28 marzo 2021

the lost weekend


The Lost Weekend di Billy Wilder (1945), film bellissimo e tremendo sull'incapacità di dare una forma artistica, una regola e una ragione alla propria vita: ecco che il primo film esplicito sugli effetti della dipendenza dall’alcol è incentrato sulle vicende di uno scrittore in crisi, non più connesso né con la Musa né con se stesso. O come dice Birman, protagonista: il mancato suicidio di uno scrittore mancato. «La mia mente era appesa fuori dalla finestra – aggiunge alla fine, voce fuori campo – pendeva ciondoloni mezzo metro più in giù. Là in quell'immensa foresta di cemento armato, chissà quanti ce ne sono come me». Delle volte, leggendo le storie dei tanti autori che incrocio, non tutti all’altezza, non tutti frequentabili, me lo chiedo anch’io. Nel libro di Charles R. Jackson, da cui il film è tratto – che si pone come un controcanto veritiero del mito fin troppo abusato dello scrittore bello e alcolizzato –, non c'è un finale pacificato come nel film. Birman parla da un punto in cui ormai si è perduto, divorato per sempre dal proprio vizio. Come gli dice un infermiere dell’ospedale in cui viene ricoverato: «Non esiste alcuna cura per chi beve, a parte smettere di farlo. Ma quanti di loro ci riescono? Alla fine ritornato tutti qui». Nel film, che concede qualcosa al pubblico, forse una svolta ci sarà, ma d’altro canto – suggerisce lo stesso Wilder – è solo l'ennesima promessa di un ubriacone, a cui si può scegliere di credere, oppure no.

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