sabato 27 marzo 2021

coraggio

Ieri sera stavo vedendo questo film, La strada scarlatta di Fritz Lang, 1945, rifacimento americano di La cagna di Jean Renoir. Nel film Edward J. Robinson, pittore dilettante senza fortuna, viene raggirato da una coppia di malviventi i quali riescono a vendere i suoi quadri a una prestigiosa galleria, presentandoli come opera della donna del gruppo, l’avvenente Joan Bennett. Il pittore, scoperta la cosa, non si arrabbia, anzi le dice: «È una fortuna questa, se mi fossi presentato io alla galleria, non mi avrebbe dato retta nessuno, non avrei venduto nulla. Invece grazie a te, adesso so di avere talento». Questa scena tremenda/patetica mi ha fatto pensare a due cose. Prima cosa, assai elementare, che nell’arte, proprio come per la vendita porta a porta degli aspirapolvere, è molto vero che il talento arriva prima se ti presenti meglio. E poi, per estensione (dovuta alla lettura di Di Ruscio), che a molti pare quasi avventurosa questa storia dell’autore che viene riscoperto tardi, o addirittura post mortem, la vedono come qualcosa di avvincente nella sua biografia di maledetto e di incompreso che stava lì ad aspettare noi, proprio noi, che siamo invece arrivati dopo, per riscattarlo con il nostro amore postumo. Invece è orribile, spaventosa. Pensate all’enorme spreco di energie creative di una mente non sollecitata da un riscontro, quante opere ci siamo persi perché un artista pensava che non valesse più la pena provarci. Occorre un coraggio straordinario per continuare a crederci, per vivere tutta la propria vita col dubbio di avere o no talento, senza una parola di conforto, soli come cani, con la gente intorno che fa finta di non vederti, ti evita se non gli servi, ti evita anche solo per non dirti che ne pensa del tuo lavoro (e questo lo so, perché io per primo a volte non ce la faccio a dare una risposta a tutti). Non è vero che il tempo è galantuomo, succede solo per alcuni fortunati. Ma per ciascuno di loro che ora si prende il nostro amore, ce n’è un altro da qualche parte, nostro contemporaneo, che vive e respira insieme a noi, al quale stiamo negando la nostra attenzione, volutamente o distrattamente che sia, in attesa che se il suo carico lo pigli qualcun altro.

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