Mia uva non colta,
ti scrivo come la volpe prima dell’odio
prima del salto, di quel voltafaccia
che non mi hai perdonato.
Sto qui sotto il tralcio e ti guardo
poeta come allora
con la pancia vuota e la testa in alto.
Ogni tuo chicco ricade
nudo e perfetto verso il naso affinato
dal tuo afrore. Lo sento che si spinge
fino in gola e fa più male
se la bocca resta asciutta, né
ci ho fatto il callo.
È forse una ruga che adesso
t’incrina la fronte? Ma sembra
brillare più tonda e più verde
se il tuo colore si accende
nel controluce che inganna. Ritorni
qui acerba e per sempre.
Il saggio ammaestra al disprezzo
di chi perde tutto.
Ma noi qui osserviamo l'ebbrezza
– anni dopo – d’una vita che matura
in un grappolo d’uva
e si fa natura nella tua pienezza
di donna che mi è rimasta in gola.
Muore prima e con più schianto
chi non pena e si dispera per amore.
Tu mi hai reso folle per un’ora.
E io per te ho spiccato il salto.
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