sabato 16 settembre 2023

lumachina

Il medico mi spiegò fin dall’inizio com’era tutto collegato, per quanto imprevedibile nei suoi tempi di sviluppo. Esploso il male, come primo effetto s’è rattrappita la voce, ridotta a un guaito di bestiola inerme, poi si è chiusa la gola e con essa la voglia di nutrirsi, dopo ha cominciato a sbavare per casa lasciandoci lunghe scie di bava che non riusciva più a contenere o tenersi in bocca, secondo me con lo scopo segreto di non perdersi mentre si trascinava in giro nel labirinto delle sue sofferenze e noi ne seguivamo le tracce.
Io imparavo con lui tutto un dizionario nuovo per me, ma necessario, che comprendeva termini medici e scadenze improrogabili, i controlli del lunedì in ospedale, le molte tappe da affrontare per arrivare a una fine lenta e dignitosa, la varia gamma dei suoi stati d’animo o dolori, che si esprimevano in pianti muti ormai ma per diversi motivi, certuni stupidi, quasi tutti relativi alla sua frustrazione e impotenza.
Gli mancava la forza nelle mani, non riusciva nemmeno ad avvitare il barattolo dei biscotti, o abbottonarsi i polsini. Il collo gli cedeva senza molla. Annaspava sulle gambe spente e piano piano, pensai, mentre cercava di respirare, si stava ripiegando su se stesso simile a una foglia autunnale che ridisegni un cerchio. Ma era in fondo più simile a una lumachina che trasmigri da una casa all’altra portandosi dietro le sue cose.
Io lo accompagnavo per le stanze sorreggendolo per le mani, con la paura che cadesse e ogni sera gli massaggiavo gli arti esangui strofinandoli fra i palmi caldi per dargli sollievo dal primo gelo della morte, così come aveva fatto lui a suo tempo con mio nonno.
Ecco come mio padre mi passava il testimone, depositandosi fra le mie mani. Ero il padre ormai per questo vecchio, ben sapendo come a un certo punto avrei dovuto lasciarlo andare solo, da buon figlio che rimane e seppellisce il padre e fa della sua vita una casa sola.

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