Negli
ultimi giorni mi sono rivisto i film del primo Monicelli, quando ancora
stava cercando suo stile che troverà intorno ai quarant’anni, a partire
dalla metà degli anni ’50 (anche se molti indicano come punto di
partenza il 1958 con I soliti ignoti che è il suo primo indiscusso
capolavoro). Fino ad allora Monicelli ha fatto una lunghissima gavetta,
prima come sceneggiatore e poi come regista in coppia con Steno negli
anni in cui i due furono spesso “a servizio” di Totò, lavorando
con lui ad alcuni dei suoi film più interessanti, il migliore dei quali
resta Guardie e ladri del 1951. Fra questi due titoli ce ne sono
molti altri, alcuni parecchio simpatici – Padri e figli, del 1957, è
il mio preferito –, ma della maggior parte dei casi è difficile dire
“questo è di Monicelli”, proprio perché manca loro quel certo sguardo,
quel modo di raccontare le storie “in puntasecca” che è proprio del
Monicelli maturo. Di questi vari tentativi alla ricerca di una propria
voce d’autore e di uno spazio autonomo nell’industria cinematografica,
la nota forse più curiosa, la più notevole (e ironica) per uno dei padri
della Commedia all’italiana, sta nell’accorgersi dei moltissimi
ammiccamenti formali a un certo cinema di marca spudoratamente
hollywoodiana. Abbiamo così Le infedeli (1953) che attinge a piene
mani al noir (in salsa melò) che aveva caratterizzato il mercato
americano nel decennio precedente, Donatella (1956) che è praticamente
un film “alla Hepburn” (a metà fra Vacanze romane e Sabrina) ma
calato anche nella parlata nella borgata romana, ma soprattutto Proibito (1954), che al di là del titolo bruttissimo (anche
considerato che il protagonista della pellicola è un prete), è un vero e
proprio western ambientato in Sardegna – innovativo soprattutto perché
utilizza come colonna sonora la Sinfona n.4 di Brahms insieme a canti
etnici sardi (qualcosa di simile farà anche Pasolini di lì a pochi anni
nel "Vangelo secondo Matteo") – con una delle più belle scene di duello a
cavallo mai girate in Italia, addirittura una decina di anni prima che
scoppiasse il fenomeno degli “spaghetti western” con la trilogia di
Sergio Leone.
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