Nel mio sogno di stanotte, perfettamente magrittiano, centinaia di persone ballavano sospese in alto sulle acque di un fiume che attraversava una città vuota emettendo una luce fioca come se fossero delle lucciole. Io camminavo loro accanto, osservandole dal lungofiume o da sotto un porticato, accompagnato da un piccolo istrice che se mi avvicinavo troppo sollevava gli aculei e le guardavo con una sorta di rifiuto perché sentivo che, per essere così leggere, negavano che ci fosse una pura verità: erano leggere non sapendola, a patto cioè di non saperla. Invece, pur lasciando la porta aperta, mi rifugiavo in una cella nuda per scriverla, ma non riuscivo a trovare le parole adatte, non riuscivo a esprimerla. Mi sfuggiva di continuo. Così, né da una parte partorivo questa verità necessaria che sentivo costiparmi, né dall’altra, per il solo fatto di sentirla, riuscivo a unirmi al ballo di chi stava sospeso per aria e sembrava così lieve e non vedeva nient’altro intorno a sé che la propria luce.
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