lunedì 24 febbraio 2025

il viaggio più lungo verso l'esistenza

Fra decine di articoli e discorsi che si ascoltano e spesso si contraddicono fino al punto che non si capisce più dove siano finite verità equilibrio e giustizia su quanto succede oggi in Ucraina, mi è venuto spontaneo tornare a rileggere un libro uscito alcuni mesi fa che dice sulla guerra più delle mille analisi che si potranno mai sentire. È, attenzione, un libro di poesie, scritto da Iya Kiva e tradotto da Yulia Chernyshova e Pina Piccolo, intitolato La guerra è sempre seduta su tutte le sedie (La vita felice, 2024). Scritto fra 2019 e 2024 è una sorta di reportage in versi, in presa diretta, dal cuore del paese in guerra, da parte di una donna nata in Donetsk che deve sopravvivere ogni giorno ai bombardamenti. È un libro duro, diretto, ma non sprezzante, che non rinuncia alla ricchezza di un linguaggio e di un immaginario tanto lirico quanto allucinato, in grado di declinare la guerra in ogni sua sfaccettatura. Evitando di trasformarlo in un atto di accusa, o mera propaganda, riesce a descrivere la guerra come uno stato esistenziale che si prende ogni spazio della vita (“e sono già tre ore senza guerra / sei ore senza guerra / e se non arriva la guerra prima che faccia notte / non possiamo fare il bucato senza la guerra”) che descrive la situazione di chi da troppo tempo vive con l’ansia del nemico alle porte, della prossima guerra in arrivo, di una violenza che matura nell’aria e ti scoppia in faccia. Vengono meno le case, le città, le foreste ucraine, viene meno il sonno nei rifugi, viene meno l’acqua la cui assenza si fa dolorosa siccità, non manca mai il sangue, né i morti che parlano continuamente coi vivi: “la guerra è la grande sconfitta della cultura / sussurrano queste parole […] ma la ruggine erbosa dei crimini di guerra cresce nelle loro bocche”. In questo modo, evitando qualsiasi retorica, l’opera riesce a scatenare nel lettore degli interrogativi a cui non c’è risposta. Anche accettando l’idea che ogni guerra è un corpo estraneo e mostruoso, come si perdona un crimine di guerra a chi lo commette? Che posto potrà avere domani alla mia tavola chi ha incenerito la mia casa? Nel suo restare perfettamente al centro della guerra, in quella bolla di distruzione dove il corpo raccoglie su di sé ogni cicatrice, ne fa memoria, il libro della Kiva è straordinario e terribile, perché sospendendo il giudizio sul nemico, l’odio catartico per il nemico che mai viene nominato, rivolgendo ogni suo pensiero alla guerra che assurge ad assoluto da cui non si potrà più uscire, dove l’Ucraina è trasformata in un ghetto “circondato di sangue e di grida di pianto”, dall’odio, sia quello russo, da un lato, sia quello nostro, dall’altro (“le porte chiuse d’europa che gettano una luce incerta”), assurge a una comprensione più alta e crudele della vita e della morte, dove “nel ghetto c’è ancora un fiume – non per annegare (anche se può capitare) / ma per guardare il cielo da tutte le rive”. Perché solo dal centro della guerra è possibile capire, gli altri sono discorsi “di chi non sa proprio niente”. Sembra un’opera cinica, ma è colma di pietà e di forza, in cui la domanda più urgente rimane: “Come fare a resistere?” e dunque: “Come fare a esistere?”. Leggetelo.

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