Nel sogno c’è Bob Dylan, non quello interpretato da Chalamet, ma quello vero e anziano di oggi, coi baffetti e il cappellaccio da cowboy, che viene a fare un concerto nel mio studio, a Locorotondo, cantando tutti vecchi pezzi blues e folk americani che non conosce nessuno delle 30-40 persone venute a sentirlo. Poi gli faccio fare un breve tour delle due stanze più bagno che compongono il mio studio e nel tentativo di essere simpatico gli dico che questa un tempo era una vecchia stalla all’incrocio del paese, cercando di rimescolare il mito di Robert Johnson con quello del presepe. Dylan mi guarda perplesso, non capisce. Mi viene il dubbio di aver pronunciato male la parola stalla, di non ricordarla bene, era stable o barn? Così esco fuori e comincio a chiedere a tutti, fermando la gente al semaforo, come si dice stalla in americano. Nessuno a Locorotondo sa rispondermi. Interviene lo stesso Dylan che mi chiede se la parola che cerco è farm, Tonio’s Farm? No, no, non farm gli rispondo in dialetto, jè a stàdde! Non facciamo confusione! E da bravo meridionale provo a convincerlo che fra il loro americano e il nostro dialetto non c’è troppa differenza, quindi dovrebbe sforzarsi di capirmi. Dylan mi osserva divertito, fa di sì con la testa, ma non dice più nulla.
Nessun commento:
Posta un commento