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lunedì 30 ottobre 2017

la campana

Nell’ultimo fine settimana sono riuscito a coronare un sogno che mi portavo dietro da anni: visitare i luoghi in cui ha vissuto e scritto Tonino Guerra, Pennabilli, Santarcangelo. È stata una esperienza non solo poetica ma, per certi versi, spirituale. Il testo che pubblico qui sotto l’ho scritto direttamente dopo essere stato nel giardino di casa sua, profondamente commosso da quella visita. La foto, invece, non rende giustizia a quell’esperienza, a cominciare dal fatto che le manca il suono. Dedico questo post a Ewa, lettrice assidua di questo blog, che ho incontrato a Sogliano al Rubicone iersera. È venuta apposta da Bologna per conoscermi e io gliene sono grato. 


Nel punto più alto della casa di Tonino Guerra dove lo sguardo si allarga sull’intera valle intorno c’è una campana donata a Tonino dal Dalai Lama. Con Celeste siamo saliti fin lassù e dal punto più alto di quel mondo dove tutto è verde, dispiegato nelle varie tonalità dell’autunno o mischiato col rosso e l’arancione prima che si faccia rame, ho dato un colpo secco alla campana. Dal metallo si è sprigionato allora un suono potente, che non mi aspettavo da un oggetto così piccolo. Una vibrazione che come un’onda d’urto ha fatto tremare l’aria, me, noi, la valle intorno riverberando sopra ogni cosa e attraversandola. In quella vibrazione mi sono sentito catturato in un movimento universale che già c’era ma si è mostrato soltanto in quella luce, come quando sulla ragnatela si posa l’acqua dal primo mattino. Il movimento avvolgeva ogni cosa allo stesso modo, partendo dal centro della campana e allargandosi intorno per unirle nella sua eco, nell’identico abbraccio in cui tremavo e ridevo. Mi sentivo piccolo e in perfetta armonia con tutto, tanto che poco dopo mi sono girato e una farfalla mi volava intorno contenta e si è posata sulla mia spalla a riposare.

giovedì 13 settembre 2012

autunno

L’autunno è sceso all’improvviso, umido e piovasco, tanto che nessuno l’aspettava. Stava nascosto sui rami più alti, aggrappato agli aghi di pino, in compagnia dei colombacci, poi è venuto giù con un tonfo, mettendo tutti in fuga, aprendo la stagione della passera. E ha rubato gli ombrelli dagli armadi, lasciandoci gli scheletri in acciaio per far l’elemosina ai rigattieri laureati. L’autunno ride spesso, anche se non sembra, nascosto nelle cataratte di mio nonno, o fra le unghie affilate di un’amante, nelle cicatrici intorno agli occhi. E sta nelle campane impazzite che suonano da ore, annunciano la prossima bufera, così che Silvio è uscito fuori col fucile per spararle. Sta pure nel silenzio della casa, ora che cambiano gli orari del rientro, e mi chiamano le calze dai cassetti coi loro sussurri.