Ieri
sera ho visto questo film, Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri,
anno 1968, genere horror di sapore grottesco. Mi è piaciuto come tutti i film
di Petri, splendidamente girato e montato, e perturbante per tutto quello che
non spiega. La cosa che più mi ha stupito è stata però leggere dopo i commenti
di molti siti che si occupano di cinema, i quali lo classificano non solo come un
film minore (e ci può stare, rispetto a quello che verrà di lì a un paio d’anni),
ma dalla trama risibile e inconsistente, e qui mi sono bloccato. Primo perché
il film, la cui sceneggiatura è trattata dallo stesso Petri con Tonino Guerra, non
è originale ma è ispirata da una ghost novel d’inizio ‘900, La bella
adescatrice di Oliver Onions. E secondo perché il film parla in sostanza di
questo: un artista (Franco Nero) in cerca di ispirazione si chiude in una villa
isolata insieme alla sua donna (Vanessa Redgrave), e all'interno della villa
comincia ad avere strane visioni di un fantasma che lo seduce (Gabriella
Grimaldi), finché non impazzisce del tutto e cerca di uccidere la sua compagna.
Ecco, sarà forse un film dalla trama risibile, ma io lo guardavo e pensavo a Shining,
o volendo restare in patria a La casa dalle finestre che ridono, entrambi
realizzati una decina d’anni dopo. E va bene che nessuno è profeta in patria,
ma qui sì, si rasenta il ridicolo a volte, nel tentativo di smontare a tutti i
costi un autore (specie un autore considerato “politico” quando non fa un film “politico”),
e una storia che, proprio perché è una storia, non deve essere per forza
razionale, ma deve soprattutto suggestionare e convincerti per quelle due ore
che tutto, in realtà, può succedere. Chiudo, a proposito di “politica” con la battuta
più bella del film, almeno per me, pronunciata a metà film quando l’artista,
ormai ossessionato dal fantasma, decide di verniciare di rosso gli alberi della
villa, e il custode gli fa notare che così farà morire gli alberi. L’artista gli
risponde: “Meglio morti, ma rossi”. Era il 1968, dopotutto.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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venerdì 2 ottobre 2020
giovedì 27 dicembre 2012
nel labirinto
C’era un film che girava in tv quand’ero ragazzino, Labyrinth. Parla di Sarah, adolescente a cui il re dei Goblin (interpretato da David Bowie) rapisce il fratello. Per salvarlo, Sarah attraversa un labirinto pieno di trappole insidie e personaggi surreali, al termine del quale si ritrova adulta. È insomma la classica storia di formazione evidenziata, nello scontro finale col Goblin, dalle parole: “La mia volontà è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande. Non hai alcun potere su di me!”
Natale, come Dickens insegna, evoca fantasmi. I nostri, oggi, sono lontani da qualsiasi intento edificatorio. Eppure, quanto sarebbe bello poter pronunciare le stesse parole di Sarah all’indirizzo di chi ci offre un labirinto da attraversare senza alcun premio alla fine né un percorso di crescita, quasi fosse una punizione per la nostra stessa povertà morale.
Se fate attenzione, fra i sintomi più evidenti della recessione vi sono i Compro Oro, spuntano come funghi. Parlando con chi ci lavora, gente abituata a scene di comune disperazione, viene fuori quanto la cosa più assurda sia l’incredulità di quelli toccati solo in parte dalla crisi, i quali pur riconoscendola non riescono lo stesso a immaginare la tavola di chi non sempre ha del pane.
Si dice che i poveri siano diventati più poveri e i ricchi più ricchi, ma ecco il fantasma peggiore: la vittoria del re dei Goblin che è riuscito a separarci dal nostro stesso fratello. A dispetto della sua storia di solidarietà, questo Paese è popolato da persone sole, diffidenti, non sempre pronte a sostenersi nelle difficoltà. Un paese spaventato, egoista e debole, la cui la rabbia che pure potrebbe fornirci l’energia necessaria a risollevarci, non attecchisce come dovrebbe.
Lo si è visto bene a Taranto: uno sciopero enorme, l’intera città bloccata, ma per cosa? Gli operai impotenti, la loro disperazione usata come merce di scambio per salvare i Riva dal disastro. I partiti, che intanto giocavano alle primarie, collusi con un potere cieco, strafottente e corrotto, che non possono o non vogliono negare. E noi?
In questo labirinto senza uscita, senza orizzonte, mi chiedo: avremo la forza di reagire, di ritrovare una dignità di diseredati per fare fronte comune? Oppure, se gli dei della terra sono indifferenti, chi ci offrirà soccorso quando pronunceremo la nostra preghiera di Natale? Guardo al cielo e mi chiedo: c’è vita su Marte?
Articolo uscito su Largo Belllavista n°65, dicembre 2012, nella rubrica Senilità. Nella foto Jack Nicholson osserva il labirinto dall’alto, in una scena di Shining, di Stanley Kubrick.
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