Roma, ce ne stiamo nella pioggia posati
sul Tevere verdastro
come vecchie panchine, barconi
baracche a mollo del dopolavoro ferroviario
senza direzione né peso sotto i ponti assetati d’amore
che se ne va dal gelataio, prende un cono alla fica
addolcisce il cuore la speranza
mentre fuori si preannuncia il nubifragio.
Roma, ce ne stiamo al riparo fra le tombe degli Inglesi
colle gattare in calore, gatti noi avvelenati di silenzio
insicuri e stanchi senza più fava o fontanelle
senza notturni che ci riportino a casa
a nasconderci in bagno per sedurci
ma tanto non ci sono paletti, solo convinzioni
non ci sono più ombrelli, ma sete.
Roma, ce ne stiamo così scuri nei visi sui tram del rientro
senz’avere risposte che valgano una storia
senza passione né sorrisi, divisi
all’ombra del fascio e nell’abbraccio del papa
direzione Casilina, spartendoci che resta coi solitari e gli immigrati
sui trampoli, coi suicidi che ci premono addosso.
Roma, rimandiamo un passaggio a Ostia
e passiamo per Parco Traiano
dove uomini e cornacchie indistinguibili
senza fare più chiasso se ne stanno
attorno a una pozza di sangue che si bevono i pini.
Roma, ce ne stiamo lontani dagli aperitivi
studenteschi, già abusati e corrotti
via dai Fori Imperiali, da troppe natiche strette
con disagio a Pasolini, Penna, Palazzeschi,
ce ne andiamo a cercare un amore fiorito in un verso
lasciato per caso cadere a Porta Maggiore.
Roma, siamo innocenti e sgraziati, desolati
a consumare couscous che ci consumi lento
ce ne stiamo al sole al lago Albano
verso l’attimo diretti in cui saremo stretti
l’una all’altro, intrappolati
quando ancora mi dirai come una volta: mi hai giocata di nuovo ed io
mi preoccupavo solo per l’acqua.
3 commenti:
Roma come non l'avevamo mai vista....
fa molto "grande bellezza", solo che in questa c'è il valore aggiunto della poesia...
Ci si potrebbe chiedere se le convinzioni sono davvero meno forti dei paletti...
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