L’idea per questo pezzo è nato alcune sere fa, mentre non riuscivo a dormire, come ogni tanto mi capita e, per passare il tempo, cercavo su youtube un pezzo dei Fugazi fra i miei preferiti, I’m so tired, contenuto in Instrument Soundtrack, del 1999. I Fugazi sono una band alternativa di Washington, fra le più influenti degli anni ’90, che da alcuni anni non è più in attività, e praticano un genere parecchio aggressivo, definito post-hardcore, ma I’m so tired mi piace in particolar modo proprio perché non c’entra nulla con quel sound, è una lenta ballata pianistica, cantata in solitudine da Ian MacKaye, fondatore del gruppo e suo leader insieme a Guy Picciotto, scritto in uno di quei momenti in cui l’ansia e l’insonnia prevalgono sulla notte. La sua voce arranca nel fango, alla ricerca di uno spiraglio di luce.
Di lì a un paio di anni i Fugazi avrebbe sospeso qualsiasi attività musicale, i suoi membri avrebbero intrapreso altri progetti solistici e questo pezzo così malinconico pare quasi annunciare, in privato, quella fine mai realmente annunciata.
È stato dunque così, per caso, che mentre cercavo I’m so tired dei Fugazi, ho trovato Sleep rules everything around me, dei Wugazi, che sembra quasi integrare e amplificare il discorso, spostandolo su un livello meno esistenziale e intimo ma più duro, quasi epico, spietato, fortemente calato nella realtà urbana e razzista di una metropoli, New York, vista attraverso gli occhi di un nero. Il brano apre 13 Chambers, del 2011, primo e (ad oggi) unico disco dei Wugazi, al secolo Cecil Otter e Swiss Andy, ovvero i nuovi araldi di un genere nato una decina di anni fa e definito molto simpaticamente bastard pop.
Cos’è il bastard pop, di che si tratta? È un’operazione di mashup, molto vicina a certe contaminazioni dell’hip hop ma anche agli esperimenti di musica concreta della prima metà del 1900, in cui si fondono insieme alcune parti o frammenti di due (o più) brani musicali per ottenerne un terzo. Per un certo periodo è stato un genere abbastanza diffuso, tanto da meritarsi addirittura una trasmissione su MTV. Poi è un po’ finito nell’ombra, fino alla recente uscita di 13 Chambers, dichiarato omaggio alla musica dei Fugazi e del gruppo rap Wu Tang Clan di New York, dalla fusione dei cui nomi nasce la sigla Wugazi.
Tornando indietro, alle sue origini, il primo capolavoro assoluto del bastard pop, e quello che rimane ancora oggi il miglior esempio di quel genere è un album del 2004, il Grey Album di Danger Mouse, musicista e produttore statunitense fra i più noti, che fondeva insieme frammenti sonori e loop musicali del White Album dei Beatles con le parti vocali dell’assai più arrabbiato Black Album del rapper Jay-Z. Realizzato in clandestinità e diffuso illegalmente sul mercato, il Grey Album di Danger Mouse conquistò subito l’attenzione del pubblico, scatenando l’entusiasmo degli stessi Paul McCartney, Ringo Starr, e di Jay-Z, e al contempo le ire delle loro case discografiche, che fecero di tutto per censurarlo, senza mai riuscirci.
Da un certo punto di vista la cosa è affascinante, perché a ben vedere i Beatles, anche per merito del Grey Album, sono stati in assoluto il gruppo più saccheggiato dal genere bastard pop, e ci sono svariati dischi in cui il loro lavoro viene fuso con quello di altri gruppi, soprattutto nell’ambito del rap. A tal proposito McCartney, in una intervista del 2011, si disse “onorato” dalla cosa, rimarcando come i Beatles avessero spesso rubato alla musica nera degli anni ’60 e come vedesse in questo tipo di furto al contrario la perfetta chiusura del cerchio.
Tornando al disco dei Wugazi, io non ho nessuna prova a sostengo di questa mia affermazione, anzi, potremmo definirla la classica visione da fan, ma mi sono fatto l’idea che, in un certo senso, la loro scelta di utilizzare Sleep rules everything around me per aprire il loro disco, sia un omaggio trasversale al Grey Album, proprio attraverso il legame sotterraneo che c’è fra bastard pop, rap e Beatles. I Fugazi, come gruppo, sia per sonorità che per contenuti non hanno nulla da spartire coi Beatles, se non fosse che la lenta ballata di MacKaye, in effetti, non ha nulla a che fare coi Fugazi. È un pezzo che, oltre a discostarsi dal loro solito sound, ha per spirito e persino nel titolo un chiaro riferimento al brano omonimo dei Beatles, I’m so tired, contenuto proprio nel White Album, ed espressione di un momento molto particolare della vita di John Lennon, in ansia a tal punto da farsi venire delle crisi di insonnia: di lì a poco avrebbe annunciato al mondo la sua relazione con Yoko Ono, e poco dopo sarebbe venuta la fine della sua collaborazione coi Beatles.
Quelli di Lennon e MacKaye sono due brani molto simili nelle intenzioni come nell’atmosfera. Per riprendere la definizione usata dal critico Geen Lees per la musica di Bill Evans, possiamo definirli “lettere d’amore scritte al mondo da qualche prigione del cuore”. Magari quella di Lennon è più ironica e mossa, ma entrambe generano fantasmi. Va detto che quella sorta di viaggio in una terra indistinta fra sogno e veglia, alla ricerca del proprio io più nascosto, è in realtà uno dei motivi fondamentali della poetica di Lennon. Andando a ritroso attraverso pezzi come Strawberry Fields Forever o I’m only sleeping, si può arrivare al suo primo capolavoro autobiografico, Help!, che proprio del principio di quel viaggio parla, dalle porte appena spalancate del Sonno.
Ascoltando un demo del 1970, in cui cerca di riportare il brano al tempo originale in cui lo aveva composto (prima che esigenze commerciali lo rendessero più ammiccante, velocizzandolo) si ritrova nel suo grido scomposto, nel suo lento trascinarsi nel buio alla ricerca di una via d’uscita, la stessa ansia e paura del brano di MacKaye, nessuna differenza fra i due. Dimostrazione di come un lungo filo sottile possa stendersi, anche nella più completa diversità della voce, fra i cuori degli uomini soli.
1 commento:
A te la mancanza di sonno fa molto bene! Ne ho imparato delle nuove, grazie Lilluz...
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