La poesia sarà pure linguaggio universale (dicono e qui quasi non ci piove), ma io mi chiedo a volte, lo confesso di Magrelli, De Angelis, Buffoni, Cucchi, Nove, Cavalli, pure De Luca eccetera e tutti i miei colleghi che leggo e poi mi parlano (oggigiorno) della loro mezza età raggiunta quasi con stupore, del disgusto e del rimpianto della loro vita urbana (o mondana che sia), delle lotte clandestine o dichiarate dei loro vent'anni che furono i miei meno venti, del mondo che per loro è Europa e non cede alla speranza persino nel ricordo del nostro Meridione, dell'amore che non muore anche se poi gli comincia a morire intorno in geriatria e nei reparti tumorali, e la paura, e la serena accettazione della morte e nonostante ciò orgogliosi della propria piccolezza umana che si fa autorevolezza editoriale nei mantelli rossi superumani nascosti sotto i cappotti lunghi con le biro, pieni di parole-esplosivo ma privi di potere che possa cambiare le cose (così da dirsi voci con causa senza effetto), orgogliosi di sé e della propria scrittura che non cede nelle vendite e nelle invidie dei colleghi anche se cede qualche volta nel verso costipato in piccole scorregge di senso, orgogliosi delle baruffe e degli intrighi da concorso che daranno colore al melodramma dell’ormai prossima biografia, orgogliosi come bambini delle proprie amanti-figlie ladre di un talento intraducibile, io mi chiedo a volte, se li guardo e in loro mi specchio, ma che c'entrano quei poeti lì con me, coi miei problemi e la distanza chilometrica che, sempre più, si fa morale, che mi sanguina nelle gengive? E la risposta è (rabbiosa o sconfortata che sia): poco, anzi, quasi nulla.
2 commenti:
Poco…! Anzi, quasi nulla.
bello, accolgo il suggerimento :)
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