– Questi disse il curato – non devono essere di cavalleria ma di poesia. […] Questi non meritano d’esser bruciati, perché non fanno e non faranno mai il male che hanno fatto quelli cavallereschi; son libri di riflessione, senza pregiudizio per il prossimo.
– Ah signore! – intervenne la nipote –, li faccia bruciare come gli altri; perché non ci sarebbe proprio di che stupirsi se poi mio zio, una volta sanato della sua malattia cavalleresca, leggendo questi, si incapricciasse di diventare pastore e di andarsene per boschi e prati suonando e cantando, o peggio ancora poeta, che a quanto dicono è infermità incurabile e contagiosa.
[Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, trad. Vittorio Bodini, Einaudi, 1957, pag. 69, 70]
1 commento:
peraltro, se non ricordo male è proprio quanto succede al povero Chisciotte a un certo punto del libro...
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