Mi ritrovo calato – da chi? – nella stanza in cima a una torre bianca, all’interno della quale è racchiuso tutto il blu Matisse, insieme al suo custode. Il custode, sfinito dagli anni di servizio e dalla solitudine, mi chiede di salvarlo, aiutandolo a scappare di lì. Ma l’unica via di fuga pare una lunga scalinata esterna, che corre attorcigliandosi intorno alla torre con gradini talmente stretti da essere adatti soltanto ai piedi di un bambino, cominciando da una balconata senza parapetto posizionata circa tre metri più in basso rispetto a una finestra che dà sul mattino.
L’impresa è quasi impossibile. Si deve saltar giù dalla finestra sulla balconata, sperando di non perdere l’equilibrio atterrando, e poi percorrere la scalinata tenendosi stretti al muro. Il tutto approfittando della prima luce dell’alba, ma prima che si faccia pieno giorno e che qualcuno possa vederci e avvertire le guardie della torre. Eppure il custode è talmente disperato da implorarmi, dice che preferisce la morte a restare lì un solo altro minuto, immerso in quell’azzurro senza tristezze che lo priva della metà oscura delle sue emozioni.
Decidiamo così di provarci, calandoci giù dalla finestra, prima lui e poi io. Atterriamo, come per miracolo, sulla balconata di sotto e sollevando lo sguardo verso l’orizzonte ora spalancato, ci teniamo per mano per darci coraggio, mentre sentiamo, come se fossimo nudi, il fresco del primo mattino che ci morde il cuore e le braccia. Restiamo così per un tempo che pare infinito. Poi lui, preso dalla frenesia della fuga, emette un lungo sospiro e voltandosi verso la scalinata mi lascia la mano. Comincia a scendere, tenendosi stretto alla parete come una lucertola e approfittando, oltre che degli stretti scalini, anche di alcune irregolarità delle pietre, fessure e spuntoni.
Lo guardo e non capisco. Ma non dovevo essere io a salvarlo? Eppure sembra cavarsela molto meglio di me, che ho fatto l’errore di guardare in basso, e ora la distanza dal suolo mi sembra talmente enorme, spaventosa, che comincio a tremare tutto e mi gira la testa per le vertigini.
Mi ritrovo così bloccato sulla balconata all’esterno della torre, a decine di metri suolo, incapace di tornare al sicuro nella stanza del blu, ma paralizzato all’idea di affrontare gli scalini che ormai mi sembrano talmente stretti da non riuscire più a distinguerli sul muro, mi pare una follia. Anche il custode è scomparso e non so più se mi ha distanziato oppure è caduto di sotto. Lo chiamo a gran voce, terrorizzato, ma non risponde, sono da solo ormai, costretto a quella torre.
Il sole comincia a sollevarsi dietro l’orizzonte, e il primo calore in parte allevia i brividi, in parte mi offre una speranza. Presto le guardie mi vedranno e verranno a riprendermi. Mi basterà solo arrendermi, aspettare immobile il loro arrivo, stando ben attento a mantenere l’equilibrio, e poi decideranno per me. In quel momento il sole si solleva di colpo, con un grosso boato, sopra l’orizzonte, e io mi sciolgo contro il muro.
L’impresa è quasi impossibile. Si deve saltar giù dalla finestra sulla balconata, sperando di non perdere l’equilibrio atterrando, e poi percorrere la scalinata tenendosi stretti al muro. Il tutto approfittando della prima luce dell’alba, ma prima che si faccia pieno giorno e che qualcuno possa vederci e avvertire le guardie della torre. Eppure il custode è talmente disperato da implorarmi, dice che preferisce la morte a restare lì un solo altro minuto, immerso in quell’azzurro senza tristezze che lo priva della metà oscura delle sue emozioni.
Decidiamo così di provarci, calandoci giù dalla finestra, prima lui e poi io. Atterriamo, come per miracolo, sulla balconata di sotto e sollevando lo sguardo verso l’orizzonte ora spalancato, ci teniamo per mano per darci coraggio, mentre sentiamo, come se fossimo nudi, il fresco del primo mattino che ci morde il cuore e le braccia. Restiamo così per un tempo che pare infinito. Poi lui, preso dalla frenesia della fuga, emette un lungo sospiro e voltandosi verso la scalinata mi lascia la mano. Comincia a scendere, tenendosi stretto alla parete come una lucertola e approfittando, oltre che degli stretti scalini, anche di alcune irregolarità delle pietre, fessure e spuntoni.
Lo guardo e non capisco. Ma non dovevo essere io a salvarlo? Eppure sembra cavarsela molto meglio di me, che ho fatto l’errore di guardare in basso, e ora la distanza dal suolo mi sembra talmente enorme, spaventosa, che comincio a tremare tutto e mi gira la testa per le vertigini.
Mi ritrovo così bloccato sulla balconata all’esterno della torre, a decine di metri suolo, incapace di tornare al sicuro nella stanza del blu, ma paralizzato all’idea di affrontare gli scalini che ormai mi sembrano talmente stretti da non riuscire più a distinguerli sul muro, mi pare una follia. Anche il custode è scomparso e non so più se mi ha distanziato oppure è caduto di sotto. Lo chiamo a gran voce, terrorizzato, ma non risponde, sono da solo ormai, costretto a quella torre.
Il sole comincia a sollevarsi dietro l’orizzonte, e il primo calore in parte allevia i brividi, in parte mi offre una speranza. Presto le guardie mi vedranno e verranno a riprendermi. Mi basterà solo arrendermi, aspettare immobile il loro arrivo, stando ben attento a mantenere l’equilibrio, e poi decideranno per me. In quel momento il sole si solleva di colpo, con un grosso boato, sopra l’orizzonte, e io mi sciolgo contro il muro.
1 commento:
Ohi ohi
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