Incontro, credo, la donna della mia vita. È una donna fatta di sabbia finissima e lucente, ed emana attraverso il suo corpo un odore che cambia a seconda dei giorni e dell’umore, che sia aria del deserto selvaggio oppure evocativa di baie notturne quando i pesci l’accarezzano ciechi per avvolgersi nella nebbia umida dei suoi fondali, e talvolta, se irritata, assume nel silenzio l’odore acidulo della lettiera del gatto. Mi sfugge, leggerissima, mentre la inseguo per le stanze di casa e sibila, ridendo, appena una brezza sottile smuove le tende, disperdendola in grani minuti che raccolgo, fra le palme delle mani, per rimetterla insieme accarezzandola. Poi, attraverso una finestra lasciata aperta la ritrovo in strada, di mattina presto, in attesa che apra il bar di fronte per offrile un cappuccino che, inumidendola, la compatti, le dia peso e la leghi meglio al suolo. Invece, irrequieta com’è, mi chiede ancora di seguirla. Prendiamo una corriera verso un paese distante, non mi dice il nome, le basta che le stia accanto. Ma sono consapevole della sua fragilità, e che basterebbe un soffio, uno starnuto per ferirla. Così vengo meno al nostro gioco e mi allontano da lei, mi tengo a distanza per salvarla da me, e obbligo persino i passeggeri della corriera a imitarmi, li costringo a preoccuparsi per lei, a chiudere tutti i finestrini e sopportare il caldo, e a restare immobili nei loro posti per non smuovere l’aria e danneggiarla. Mi odiano, ma non me ne preoccupo, mentre lei prova a raggiungermi, dispiaciuta o indispettita che sia, cambiando di posto più volte per avvicinarsi a me, che le sfuggo, e lascia una traccia umida di cappuccino sul sedile, man mano che il suo corpo si asciuga. Ed ecco che arriviamo nel paese del vento. Io la scongiuro di non farlo, la trascino dentro, ma è tardi, il nostro tempo insieme è finito e lei scende. Le corro dietro ma è già scomparsa, dilaniata in un vortice d’aria sulla piazza e più in alto, verso il campanile. La chiamo più volte, piangendo, e in quel momento mi si posa sulla lingua, come un bacio, un suo granello, l’ultimo in cui mi riconosco. Mi riavvolge il suo odore perduto, pronto a farsi perla, si diffonde in corpo come un’eco. E al mio risveglio, il giorno dopo, la sento ancora lì, posata, ed evito di parlare con chiunque per non perderla.
2 commenti:
Lilluzzino in questi giorni stai scrivendo pagine belle, ma belle belle
" e talvolta, se irritata, assume nel silenzio l’odore acidulo della lettiera del gatto"...adoro il tuo modo di descrivere queste piccole essenze dell'essere.......ciao lillo bello questo triste racconto..
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