Sono già alcuni giorni che non si fa altro che parlare del caso Gallimard. Se ci pensate, della stessa cosa si stiamo lamentando tutti, anche qui in Italia, da un anno a questa parte. Certo, se lo dice Gallimard, allora è proprio vero: tutti sono capaci di scrivere un libro. A me di Gallimard non è che freghi tanto, posso dire però sinceramente che quest'anno sto vendendo meno dell'anno passato, che già ho venduto poco. Questo perché, credo, rispetto all'anno passato sta cambiando qualcosa: la gente è più stanca, stanno finendo i soldi, quindi comincia a tirare la cinghia. Molti bravi editori, se ci fate caso, si sono fermati o quasi nella loro programmazione, altri stanno addirittura chiudendo, altri ancora hanno cominciato a investire sui classici, perché se c'è una cosa che è vera è che quando i tempi si fanno bui ci si rivolge sempre ai classici. Gli autori vivi, e vitali, che sono proprio come noi comuni mortali, ci interessano poco o nulla se non sono circondati dall'aura del tempo e della classicità, se non hanno attraversato quella particolare soglia. Ed è forse il motivo per cui, paradossalmente, tutti scrivono e sommergono le case editrici, perché sentono la precarietà del tempo e tentano a loro modo di salvarsi. Sperano di infilarsi anche loro, come topi, nei meccanismi che ci trasformano in un classico, per farci trasportare dall'altra parte del mare e fare in modo che, forse non oggi, forse non domani, ma un giorno saremo anche noi buoni da ripescare, magari durante la prossima catastrofe o crisi mondiale.
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