Sono un fanatico dei contorcimenti del tempo. Sono di quelli, insomma, che crede che il tempo sia lineare solo all’apparenza, ma poi se fai attenzione tutto avviene un po’ a caso e in quel caso tu ci puoi trovare un ordine, un tuo ordine particolare con cui dare un senso al mondo e al suo trascorrere. Siamo in piena estate 2014, caldo denso e cielo terso, e Facebook mi notifica il compleanno di Cristiano de Gaetano, artista pugliese fra i più bravi che, se fosse ancora vivo, avrebbe la mia età. È morto di tumore a Taranto, coincidenza che, da qualche parte, dovrà pur significare qualcosa. Era la primavera del 2013. Non eravamo propriamente amici, e quindi, forse, non ho il diritto di parlare di lui. Ma è un ricordo che aggiungo agli altri, così che non vada perduto. L’ho conosciuto un qualsiasi giorno d’autunno del 2012. Sono stato portato al suo studio da un comune amico per fargli delle foto mentre discutevano di una possibile mostra. Aveva piovuto quel giorno e c’era una bella luce, molto particolare. Cristiano si presentò allo studio coi figli e cominciò a discutere subito col nostro amico della mostra, mentre i bambini inforcarono le biciclette e cominciarono a sfrecciare per le stanze. Io me ne andavo in giro fotografando gli ambienti e soprattutto i suoi figli che giocavano. Qualche volta fotografavo anche lui. Ma ogni volta che lo fotografavo faceva col viso un leggero movimento, quasi smorfia di disagio, e non conoscendolo mi chiedevo se la cosa gli desse fastidio o meno. Alcuni giorni dopo gli ho mandato le foto via mail. Mi ha risposto così: “Ho una faccia di merda”. In altre parole, faceva quelle smorfie non perché lo infastidivo, ma perché voleva venire bene in foto. Le foto dei suoi figli, invece, gli piacevano molto, e anzi, se volevo, andavano pubblicate, soprattutto il volto di Frida, sua figlia, che mostrava uno sguardo pieno, profondissimo, lucente. Era fiero dei suoi figli. Abbiamo chattato per circa un quarto d’ora in cui non mi ha parlato altro che di loro, Frida, Giordano e Lavinia, definendosi un padre “un po’ severo, ma giusto un po’”, un padre che provava a essere bravo anche se la sua vita sentimentale era “un gran casino”. Poi mi ha detto di tornare a trovarlo quando volevo, per fare altre foto ai suoi figli e anche a lui, ma non ci sono più tornato. Non ne ho avuto l’occasione. Dopo l’autunno l’ho incontrato una sola volta, a carnevale, a una mostra. Era allegro ma già molto dimagrito. Si sapeva già che stava male. Ho scritto una poesia per lui, e l’ho chiamata Inverno. Volevo fermare il tempo a poco prima che arrivasse primavera. Ma quella che più fortemente me lo fa pensare adesso, anche perché la stavo leggendo il giorno in cui il nostro comune amico, affranto, mi ha dato la notizia, è questa, di un monaco zen vissuto in Giappone all’inizio del 1200, chiamato Eihei Dogen: “i fiori muoiono quando ci rattrista perderli”. E per quel poco che l’ho conosciuto, credo che a Cristiano de Gaetano sarebbe piaciuta.
1 commento:
e gli sarebbe piaciuta anche la descrizione del vostro incontro
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