Convivo da mesi, da quando sono arrivato qui, con un giovane attrice nel retro di un negozio di scarpe. Lo facciamo entrambi per risparmiare eppure, per evitare malintesi, dormiamo in camere separate né io, in quanto straniero, posso parlarle. Mi è dato solo ascoltarla, quando fa le sue prove, attraverso un buco scavato nel legno della porta che ci separa, in una lingua che non conosco e di cui afferro appena poche parole nella penombra del magazzino. Quelle che catturo, affinando l’orecchio fra una lettura e l’altra, me le segno sul taccuino per andare poi a cercarle sul dizionario quando lei non c’è. Sogno di poterle rispondere un giorno, e per questo, anche se ancora non la capisco, ascolto con attenzione i monologhi indirizzati alla porta, che mi offre in esclusiva prima che al suo pubblico in teatro. Imparo così quello che va oltre le parole, i tempi del suo respiro, come abbassa la voce quando è turbata fino a renderla del tutto impercettibile, come la impenna nella furia senza scampo della sua ira, i silenzi affilati che pesano sul cuore, e tutto quello che nascondono le sue risate. Io provo, fra un monologo e l’altro, tutte le scarpe del magazzino, cercandone un paio buono per riprendere il mio viaggio, appena le avrò parlato. E scopro che non me ne va bene nessuna. Infatti, sono tutte bucate.
3 commenti:
Questo pezzo è incantevole e seducente
grazie :)
secondo me tutte quelle scarpe erano nuove
(bellissimo racconto)
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