Molti non lo sanno ma Guglielmo Minervini, prima ancora di fare il politico, era stato un editore, fondando una piccola e bella casa editrice, chiamata La Meridiana e il cui scopo era far libri «utili, necessari, perché c’è un problema vero e perché c’è un vissuto, una esperienza da comunicare». L’idea di essere utili agli altri attraverso il proprio vissuto, in maniera pratica, concreta, gli veniva dalla profonda ispirazione che su di lui aveva avuto la figura di don Tonino Bello, ed è sempre stata connaturata alla sua persona, ai suoi ideali, solo in seguito si è riversata naturalmente nella sua politica. Legare la parola «utilità» ai libri in una terra dove i libri servono al massimo come sottobicchieri, è stata la prima di tante rivoluzioni più o meno riuscite, ma dettate dalla passione, dalla convinzione che qualcosa in più si possa e si debba sempre fare.
Questa convinzione lo ha sempre accompagnato, sin da quando nel 1994, a 32 anni, divenne sindaco di Molfetta in una lista civica e provò, con successo, a ripulirla dalla Camorra, realtà talmente invasiva che, come disse lui stesso: «la si poteva toccare con mano». Nel 2005 venne eletto in Regione con Nichi Vendola. Molti lo ricorderanno perché quella vittoria segnò l’avvio del periodo più splendido, pur con tutte le sue imperfezioni, della nostra storia politica, tanto da meritarsi il soprannome di Primavera pugliese, esempio per moltissime altre realtà regionali ed europee. Di quella Primavera Minervini, per quanto meno appariscente di Vendola, fu uno dei protagonisti indiscussi. Tanto che la proposta più coraggiosa, più innovativa, venne da lui. Che diceva questa proposta? Diamo fiducia ai giovani, diamogli i mezzi, diamogli lo spazio. In una regione con un fortissimo tasso di emigrazione, di fuga dei cervelli, fu una rivoluzione epocale. È vero, non sempre i risultati hanno corrisposto alle promesse, dall’una e dall’altra parte, ma il senso di speranza, di possibilità, era altrettanto palpabile nell’aria quanto lo era stato, all’opposto, la presenza della Camorra che infettava Molfetta nei primi anni ’90. Il più grande capovolgimento che mai ci si potesse aspettare in Puglia nel giro di appena dieci anni. Anni preziosi per dare una nuova identità, e orgoglio, alla nostra Regione: soltanto per questo dovremmo essere tutti grati a Minervini.
Non tutto gli è andato sempre liscio. Ricordo, fra l’altro, che Minervini fu il primo a cercare di far luce nei conti occulti delle Ferrovie Sud Est, fallendo clamorosamente il colpo. Eppure mai, nemmeno fra i suoi detrattori, lo si è mai tacciato di malafede, o di disonestà, e anche questa direi, è una sua grande vittoria. Gli ultimi anni di Minervini sono stati minati da gravi problemi di salute. Eppure, fedele al suo credo, non l’ho mai visto piangersi addosso, mai, neppure nei momenti di maggiore fragilità. Una volta un amico scrittore lo definì così: «un uomo infinito in un corpo minuto». E posso dire che è la descrizione che più gli corrisponde. Molti di noi, della mia generazione, gli devono qualcosa, perlomeno in termini di fiducia. Sono sicuro che non verrà dimenticato.
Questa convinzione lo ha sempre accompagnato, sin da quando nel 1994, a 32 anni, divenne sindaco di Molfetta in una lista civica e provò, con successo, a ripulirla dalla Camorra, realtà talmente invasiva che, come disse lui stesso: «la si poteva toccare con mano». Nel 2005 venne eletto in Regione con Nichi Vendola. Molti lo ricorderanno perché quella vittoria segnò l’avvio del periodo più splendido, pur con tutte le sue imperfezioni, della nostra storia politica, tanto da meritarsi il soprannome di Primavera pugliese, esempio per moltissime altre realtà regionali ed europee. Di quella Primavera Minervini, per quanto meno appariscente di Vendola, fu uno dei protagonisti indiscussi. Tanto che la proposta più coraggiosa, più innovativa, venne da lui. Che diceva questa proposta? Diamo fiducia ai giovani, diamogli i mezzi, diamogli lo spazio. In una regione con un fortissimo tasso di emigrazione, di fuga dei cervelli, fu una rivoluzione epocale. È vero, non sempre i risultati hanno corrisposto alle promesse, dall’una e dall’altra parte, ma il senso di speranza, di possibilità, era altrettanto palpabile nell’aria quanto lo era stato, all’opposto, la presenza della Camorra che infettava Molfetta nei primi anni ’90. Il più grande capovolgimento che mai ci si potesse aspettare in Puglia nel giro di appena dieci anni. Anni preziosi per dare una nuova identità, e orgoglio, alla nostra Regione: soltanto per questo dovremmo essere tutti grati a Minervini.
Non tutto gli è andato sempre liscio. Ricordo, fra l’altro, che Minervini fu il primo a cercare di far luce nei conti occulti delle Ferrovie Sud Est, fallendo clamorosamente il colpo. Eppure mai, nemmeno fra i suoi detrattori, lo si è mai tacciato di malafede, o di disonestà, e anche questa direi, è una sua grande vittoria. Gli ultimi anni di Minervini sono stati minati da gravi problemi di salute. Eppure, fedele al suo credo, non l’ho mai visto piangersi addosso, mai, neppure nei momenti di maggiore fragilità. Una volta un amico scrittore lo definì così: «un uomo infinito in un corpo minuto». E posso dire che è la descrizione che più gli corrisponde. Molti di noi, della mia generazione, gli devono qualcosa, perlomeno in termini di fiducia. Sono sicuro che non verrà dimenticato.
Nessun commento:
Posta un commento