Com’è aspro e dentellato di vita il campo di là dalla tempesta.
Io resto qui chiuso in casa o mi spingo se posso in veranda
riparando che resta dalle malversazioni del tempo e afflitto
dalla consunzione delle foglie. Risuona all’improvviso
oltre il cancello un nome. Mi affaccio su di un’ombra
che serra l’ombrello fra le mani. Mi aspetta
senza reclamarmi. La intride la pioggia e morde i suoi capelli
accesi in quest’inverno fuoriporta, ultimo riparo al mio avvenire
rinsecchito in una stanza. Le divora il corpo l’acqua
e fa materia del dolore, che più rinserra nella carne incerta
e più mi crepa dentro il cuore. È urna o arca questo vaso? Piove.
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