giovedì 26 luglio 2018

il frutto della violenza

In questi giorni sta girando molto un video di una trasmissione televisiva in cui Indro Montanelli viene attaccato con ragione, dalla giornalista Elvira Banotti, per la storia del suo matrimonio con una dodicenne in Africa. All’auto-apologia di Montanelli che per l’epoca e il luogo era pratica comune, la Banotti risponde che una bambina resta una bambina, e se lo stesso gesto fosse stato fatto in Europa sarebbe stato ritenuto stupro, che c’era dunque una coscienza, da parte di alcuni almeno, che quel tipo di rapporto era sbagliato e fuorviato dalla discriminazione razziale e da un senso di superiorità di genere, da parte del maschio italiano/europeo sulla donna africana. Ovvero il frutto della violenza e del sopruso. Ecco, io penso che fra alcuni anni, molti di noi siederanno su quella stessa sedia di Montanelli, accusati di mangiare carne, ben sapendo nel profondo del nostro cuore che è e resta un abominio, e alle nostre recriminazioni che per l’epoca e il luogo era pratica comune, qualcuno risponderà che c’erano anche persone che avevano già una coscienza che uccidere degli animali per sfamarsene è sbagliato, che biologicamente parlando persino la vita dell’ultimo insetto del pianeta è sacra e degna di rispetto almeno quanto la nostra, e che tutto l’impianto su cui è costruita la nostra cultura alimentare, per cui alleviamo animali in strutture che sono come lager al solo scopo di ucciderli, squartarli e divorarli è conseguenza del nostro senso di superiorità di specie sul resto degli esseri viventi di questo mondo. Ovvero il frutto della violenza e del sopruso.

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