È da alcuni giorni che gira la notizia che forse non vedremo mai (di sicuro non per molto tempo) l’ultimo film di Woody Allen, A Rainy Day in New York, perché trattando della storia d’amore fra una minorenne e un uomo maturo, la stessa da lui trattata nell’amatissimo Manhattan, non è conforme agli standard sulla pura asetticità del desiderio promossi dal movimento #MeToo, che era nato per evitare molestie sul lavoro contro le donne ed ha finito per diventare movimento d’opinione sui contenuti artistici di un’opera che, se sono politicamente scorretti, viene immediatamente censurata. Così #MeToo ha scatenato un vespaio contro Allen e il distributore del film si è tirato indietro. A periodi, negli Stati Uniti torna questo clima da caccia alle streghe, in cui si riversa il peggio del puritanesimo che impregna la loro cultura, lo stesso clima che Allen denunciò in un film bellissimo come Il prestanome. La parte più interessante della questione però è un’altra. Non si sta boicottando Allen per i contenuti del suo film presi in se stessi – che da ciò che ho capito sono stati sviluppati in chiave drammatica, la stessa che ha dato origine a pellicole come Match Point, Blue Jasmine o Irrational Man – ma perché, avendo egli sedotto la figliastra della moglie, Soon-Yi Previn, si è subito messa in relazione quell’esperienza con il film, ovvero non si riesce minimamente a considerare che i contenuti dell’opera possano essere sviscerati dal vissuto del suo autore, per cui se il film parla di amore con minori e l’autore ha avuto una storia con una minore, allora il film per induzione parla della storia dell’autore ed è intollerabile che se ne faccia un film. È una considerazione critica talmente bassa, mediocre, anche considerando che viene da persone che lavorano nel mondo del cinema, ovvero della finzione, che mi lascia basito. È la negazione assoluta dell’arte come astrazione narrativa, che porta a universalizzare il contenuto, sia pure nato da un vissuto, per farne un’opera, e in cui invece si ribadisce a oltranza l’idea piccolo borghese che l’opera è unicamente il frutto di una confessione intima, la pagina di diario dell’uomo qualunque, dove l’elaborazione concettuale e la formale sono orpelli e chiunque può dire la sua, e se quello che dice è “carino” allora è già arte. Ma, se non è “carino” per nulla allora è osceno e censurabile. Proprio quello che Kundera aveva definito – ne L’insostenibile leggerezza dell’essere – il trionfo del kitsch.
5 commenti:
se non sbaglio tu stesso avevi scritto di un film in cui jerry calà si innamorava di una bambina e che questo tipo di film oggi non sarebbe stato possibile farlo. Ecco è successo: il politicamente corretto che fa ancora danni. Non sto scherzando, ma questa gente bisogna isolarla come fossero appestati, che sia al lavoro, oppure a tavola, per strada; guardarli con disprezzo.
Michele Lenzi
Hai ragione, avevo dimenticato di aver già toccato l'argomento, ma è vero, è successo e non ci ha guadagnato nessuno...
Stiamo andando sempre più indietro. Indietro tutta!
è vero, però dopo essere affondati ancora un poco, poi torneremo a galla a riprendere aria...
Sì, come gli s....!
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