Cito da Czesław Miłosz, La mente prigioniera (Adelphi): «Pablo Neruda, grande poeta dell’America Latina, viene dal Cile. Ho tradotto molte sue poesie in polacco e sono stato contento quando è riuscito a evitare l’arresto fuggendo dal suo paese natale. Pablo Neruda è comunista. Gli credo quando scrive della miseria del suo paese e lo stimo per il suo gran cuore. Siccome, scrivendo, egli pensa ai suoi fratelli e non a sé gli è concessa in premio la potenza della parola. Quando però oppone alla follia del mondo capitalista la vita felice e gioiosa degli abitanti dell’Unione Sovietica, allora smetto di credergli. Gli credo fino a quando scrive di cose che conosce. Smetto di credergli quando comincia a scrivere di cose che conosco io». Riporto questo frammento che ho letto iersera, non come disanima del comunismo storico, quanto come metafora degli innumerevoli e poetici Neruda che ogni giorno leggo, sento, mi scrivono o contattano per dirmi esattamente le cose che so, imponendomele come le vedono loro.
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