Più approfondisco Berlin Alexanderplatz di Rainer Werner Fassbinder, serie televisiva in 14 puntate, coprodotta con la Rai e trasmessa dalla televisione tedesca nel 1980, e più mi suggestiona l’idea che ci sia come un parallelo – se non un qualche debito – con “Le avventure di Pinocchio” di Comencini, altra serie tv, realizzata in Italia nel 1972, e trasmessa per la prima volta in Germania nel 1973 e poi di nuovo nel 1978 in un riadattamento che la condensava in un solo film, e in cui, in una sorta di rovesciamento speculare (al negativo), la figura di Biberkopf è da leggersi come una sorta di Pinocchio, un essere pre-morale, venuto di nuovo al mondo dopo l’uscita di galera e che cerca di recuperare, nella sua ostinata volontà di tirare dritto, la propria umanità perduta. “Quest’uomo ha mancato di diventare adulto” dice uno dei due angeli custodi durante il sogno dell’ultima puntata. E proprio come il burattino di legno muore per diventare bambino, così Biberkopf deve a sua volta morire – nel passaggio che va dalla galera al manicomio – prima di tornare al mondo con lo stesso nome ma diverso come uomo. Nel mezzo, le tentazioni della strada per diventare adulto sono continue e non sempre il nostro riesce a resistere al fascino del male, ma quando sgarra viene punito dalla sorte, o proprio come Pinocchio dal gatto e dalla volpe, viene tradito dai suoi complici. Proprio come a Pinocchio bruciano le gambe, lui quasi con una sorta di indifferenza per la cosa, perde il braccio (che poi gli ricresce nel sogno racchiuso nell’epilogo). Proprio come Pinocchio Biberkopf pare incapace di comprendere e di prendersi la responsabilità delle sue azioni; e proprio come Pinocchio ha intorno una lunga serie di fate turchine che di volta in volta “muoiono” per causa sua, e tornano in vita per ammonirlo, e soprattutto le figure preponderanti di Reinhold/Lucignolo, e di Meck/Grillo parlante e a volte padre. Proprio come Pinocchio, Biberkopf finirà per perdersi due volte in una sorta di viaggio nel ventre della Balena – la prima volta soccorso dall’ebreo Baumann che lo ribattezza Giobbe e pare ripreso dal capitano Achab nel Moby Dick di John Huston! – e la seconda alla scomparsa dell’amata Mieze, rifiutando l’aiuto di chiunque, sia di Meck che di Eva, perché non ha la forza di accettare la verità del male che lo circonda, così entrando nel suo stato di follia come rifugio.
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