Era il 1935. Scrive Giorgio Caproni: «Io non avevo ancora pubblicato niente in volumetto – ricevetti un libretto, mi pare accompagnato da una cartolina postale. Il libretto era intitolato La barca, l’autore era Mario Luzi, e diceva: “Sono un giovane studente di filosofia, le mando questo libretto in omaggio” eccetera, eccetera, senza chiedermi un giudizio». Fu così che il primo in assoluto a segnalare il ventunenne Luzi che esordiva in poesia, fu il ventitreenne Caproni, non ancora pubblicato in versi, ma già recensore letterario per ‘Il popolo di Sicilia’. Ricorda Luzi: «Sono legato a questo mite ma severo e indefettibile ‘faber’ da anni immemorabili, fin da quando a Castello dove ancora abitavo mi arrivò un giornale siciliano che conteneva una nota su La barca, il mio primo libro: e me lo mandava da Genova l’autore che si firmava appunto Giorgio Caproni. Era il primo segno di attenzione che mai avessi ricevuto da fuori e anzi da lontano per via pubblica». Continua Caproni con la sua prima impressione della raccolta: «Insomma, mi fece un po’ l’impressione degli Ossi di Montale, ma mentre gli Ossi erano volti a quella tipica disperazione radicale propria di tutti i genovesi, questo Luzi invece era volto sul rovescio, alla speranza, no?» annotando come l’autore fosse, non necessariamente in negativo, «un convinto e perfetto cattolico», ma anche «un vero poeta». Ne fu a tal punto convinto che continuò poi a recensirne puntualmente le uscite fino al 1963 (Nel magma), e a farlo soltanto «per amore», quando cioè solo «per amore» si poteva ormai scrivere una di quelle «piuttosto degradanti cose chiamate recensioni».
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