Comincio col dire che LA MIA VAGINA, a cura da Massimo Maurizio ed edito da Stilo Editrice, è un libro bellissimo, talmente bello che avrei voluto pubblicarlo io. Ed è anche tutto ciò che per me dovrebbe essere un libro oggi, bello esteticamente, nei versi, ma col coraggio di esprimere un’idea sul mondo, una visione, magari non condivisa da tutti, ma talmente chiara e forte da poter esprimere un punto di partenza per un dialogo. “Antologia di poesia femminista russa contemporanea” aggiunge il sottotitolo, lì dove il femminismo non è una moda ma una esigenza, è un’opera tradotta benissimo e con grande sensibilità che ha, ripeto, una fortissima connotazione politica, primo perché realizzata in una nazione sempre più omofoba e repressiva – dove i movimenti omosessuali sono paragonati per legge a quelli terroristici – e secondo perché per il solo fatto di essere stato scritto da donne che parlano liberamente di sesso lesbico (da un punto di vista femminile) e violenza domestica istituzionalizzata le stesse autrici rischiano di essere processate. Non a caso alcuni testi sono pubblicati sotto pseudonimo per non mettere in pericolo le autrici, lì dove l’opera come discorso unitario viene prima della soddisfazione dell’ego del singolo autore, vale come atto di denuncia e riflessione su un problema generale. Allo stesso tempo sono poesie profondamente personali, di quel personale che può farsi voce collettiva trattando come fanno di problemi comuni legati all’affermazione di sé come individui in una società fortemente maschilista che nega qualsiasi parità alle donne e ai gay. Le poesie qui proposte sono tutte mediamente lunghe (dalla 3 alle 12 pagine l’una), rifiutano il tono lirico e le forme retoriche classiche, sono per lo più dialogiche nel dettato, prosastiche, usano un linguaggio diretto e versi lunghissimi, sono piene di urgenza, ma non prive di una certa ironia che spesso sconfina (pericolosamente) nella satira, sembrano testi nati per la lettura in pubblico e si prendono il diritto di affrontare apertamente (nonostante siano opere di donne!) temi come la guerra, di cui si sentono responsabili, la politica e la nuova società russa figlia del putinismo (a cui si oppongono) e definita acutamente come “post-coloniale” creando un confronto diretto col colonialismo europeo (dove il colonialismo è “uomo”, la nazione è “massimamente uomo”), la violenza diffusa respirata persino negli ambienti della cultura che censura le voci femminili o le vede come prede sessuali (vedi la lunghissima e stupenda “Che cosa so della violenza” di Oksana Vasjakina che mi ha fatto vergognare di me e dei miei stessi comportamenti). Perché la poesia arriva un passo più in là degli slogan #metoo, e perché un libro così comincia dalla Russia ma va ben oltre i suoi confini, affrontando temi che sono inevitabilmente condivisibili. Così, una delle formule corali che più ricorre nel libro è “io voglio parlarne con voi”, ma non su Facebook, non sui social avvertono le autrici, parliamone di persona, faccia a faccia, in pubblico, per strada, in movimento, anche a rischio di finire arrestate, purché ci sia un’eco, un cambiamento.
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