Ieri è venuto a mancare Vittorio De Michele. L’ultima volta che l’ho visto mi aveva detto di stare meglio, però mi aveva chiesto il favore di impaginargli un libro fotografico, che è stato stampato in 2 sole copie: una per sé e una per sua figlia, come ricordo di un viaggio fatto insieme. L’ho trovato un gesto di grande tenerezza, tipico di una persona così sensibile ed entusiasta quale era lui. Gli avevo impaginato anche il libro precedente, quello coi trulli in copertina che partiva dal ricordo di viaggio di un soldato inglese a Locorotondo e che poi è uscito con un editore svizzero. Vittorio sperava glielo pubblicassi io, ma non ci siamo capiti e alla fine mi disse “Gli editori di Locorotondo dovrebbero essere più coraggiosi”, una piccola stoccata ma senza guardarmi in faccia, come se fosse un’osservazione casuale, per non trasformarla in una discussione che non c’è mai stata. Sull’ultimo numero della rivista “Locorotondo” mi chiese di includere un suo scritto che parla dei pellegrini che nel 700 passavano per il nostro paese, voleva che fosse pubblicato come ricordo per i nostri lettori. Ecco tre lavori diversi in cui ritornano i suoi punti fermi: il nostro paese inteso come comunità umana fortemente coesa in cui se ci si dà una mano si è più forti, l’importanza degli affetti famigliari, un grandissimo istinto come storico, ma anche estetico che si esprimeva attraverso varie arti, dalla fotografia (perché era un ottimo fotografo) alla musica, l’amore per il viaggio, o meglio ancora il pellegrinaggio che è un’altra cosa: pellegrino è chi viaggia per fare una sua ricerca spirituale e non per semplice divertimento. Vittorio aveva tutte queste qualità, che gli venivano universalmente riconosciute e infatti ieri moltissime persone si sono unite spontaneamente in un grande abbraccio collettivo. Eppure, aggiungo, molti gli volevano bene come persona e come medico (perché era un ottimo medico), molto meno forse come storico. L’area archeologica di Grofoleo, ad esempio, la cui vicenda lo vede fra i suoi protagonisti, ne è la prova: l’attenzione recente posta su quell’area si deve in fondo a una sua scoperta, e il fatto che sia stata ricoperta da una strada è la prova che da quel punto di vista il senso della sua ricerca non è stato capito, apprezzato forse, ma non condiviso. Una volta me lo disse lui stesso, come dato di fatto: “Antò, ai curdunnesi della loro storia nan ce ne fotte nudde”. Eppure, parlando di storia, io dico che fra molti decenni, quando del ricordo così affettuoso di chi lo ha conosciuto non resterà più nulla, di Vittorio resteranno ancora i suoi libri e l’importanza delle sue ricerche storiche sul nostro territorio. Io posso dire, nel mio piccolo, che a breve pubblicheremo un libro di uno studioso americano, Anthony H. Galt, che ha fatto uno studio sul nostro territorio pubblicato dalla Cambridge University Press, dove Vittorio è citato più volte. Non sono tanti gli studiosi del nostro paesino la cui bibliografia è citata a Cambridge, e non solo lì. Vittorio è stato uno dei pochi ad arrivarci, e scusate se è poco.
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