A Cosimino, che aveva la mia età ma sembrava più vecchio, da ragazzi avevamo dato nome Frufrù, non mi ricordo perché. Io sapevo solo che all’epoca il mondo per me si divideva in quelli che i libri li leggevano, come me, quelli che non li leggevano, come quasi tutti gli altri, e quelli che li mangiavano, come lui, che aveva questa abitudine strana, di fare a pezzettini le pagine dei libri e metterli in bocca e masticarli a lungo. Cosimino, o Frufrù, veniva fuori da certi racconti notturni e stralunati, come quelli di Landolfi, oppure carichi di tragedia e indicibili dolori familiari, di quelli che, se nasci povero, ti segnano il destino, come quelli di Verga. Era un Lazarillo de Tormes senza saperlo. Glielo si leggeva non solo nello sguardo quel destino, ma in ogni piega del viso, in ogni cicatrice. Questa foto gliel’ho scattata nel 2011, allora avevamo 34 anni, e lui non le aveva ancora viste tutte. Non parlava molto, ma quando passava sul suo Ciao per via Alberobello, suonava sempre il clacson per salutarmi. Erano gli unici momenti, quelli, in cui lo vedevo accennare un sorrisetto fiero sotto i baffi. Poi l’ho perso di vista col covid, e oggi scopro che è morto due settimane fa. C’era il manifesto già mangiato dalla ruggine che gli cancellava il viso. Lo saluto allora come posso, condividendo questa foto per ricordarlo almeno com’era negli anni in cui sfrecciava col suo Ciao.
Nessun commento:
Posta un commento