Ieri,
in una giornata così particolare per gli Stati Uniti, ho visto
finalmente A complete Unknown che sicuramente non poteva venire fuori in
un periodo migliore per ricordare agli americani stessi che c'è stato
un tempo in cui si faceva "controcultura", parola bellissima di chi usa
l'arte per dire qualcosa sul mondo e con un pubblico disposto a
crederci, non solo comprare i dischi, ma proprio credere a quella
cultura come fonte di verità e integrità. Quanto al film l’ho trovato
carino, ma nulla di più, forse sono troppo fan per apprezzare a dovere
qualcosa di così riassuntivo. Le figure femminili, per quanto vivaci, ne
escono impoverite, anche se i duetti con la Baez riescano a trasmettere
la perfetta alchimia artistico/erotica che i due riuscivano a scatenare
sul palco. Ma è soprattutto il personaggio di Dylan così osannato
dell'interpretazione di Chalamet che non mi ha convinto. Lui bravissimo
interprete certo, ma non ride mai, ha sempre quell’aria sbattuta e
vagamente fuori che dopo un po' ti viene a noia, soprattutto nella prima
parte. Da come viene descritto nelle sue biografie, il primo Dylan era
il classico ragazzetto di provincia scroccone e sbruffone,
fondamentalmente allegro e innamorato della vita, che poi, nei vari
scontri/traumi per arrivare al successo, si indurisce e si fa crescere
un'armatura impenetrabile intorno che diventerà il suo marchio di
fabbrica a metà anni Sessanta. In questo senso il personaggio Dylan non
mi è sembrato subire nessuna vera maturazione, non così marcata, anzi
fin da quando arriva a New York è sempre introverso, imbronciato,
chiuso, musone, stronzo, e così via per tutto il resto del film. Nella
seconda parte, è vero, mette gli occhiali da sole, tanto che viene in
mente quella famosa battuta di Sergio Leone su Clint Eastwood, il quale
avrebbe soltanto due espressioni: col cappello e senza.
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