Nel sogno c’è una lunga fila di pinguini in migrazione che vengono dal campo dei vicini e proseguono verso il campo opposto attraversando il mio giardino fra le lattughe e il sedano e fermandosi ad annusare i fiori di borraggine che crescono sui bordi, ogni dieci pinguini c’è un grosso orso polare che li divide in file precise dai capini testardi e dondolanti. Procedono senza mai finire, come se fossero un numero interminabile. Li osservo dal mio balcone e sono certo di averne già fatti altri di sogni così, con diversi animali che ogni volta mi scorrono davanti in processione, invadono il mio orto, cercano di arrivare da qualche parte. Soltanto io mi trattengo qui, senza mai prendere il treno sospeso che si ferma ogni sera all’altezza del mio balcone, tutti i giorni alla stessa ora. Stavolta, ispirato dal movimento dei pinguini, decido di lasciarmi andare alla speranza e ci salgo al volo, poco prima che riparta con uno sbuffo sfondando il muretto di cinta e tuffandosi nella siepe nera con uno scossone che mi fa tremare dalle caviglie al collo, facendomi cadere. Mi ritrovo seduto su un seggiolino di pietra con altre persone intorno, a contemplare la foto ovale di una donna sulla parete di marmo del treno. Non so nulla di lei, così come di loro, e mi sento in imbarazzo, ma quando chiedo sottovoce a chi mi siede accanto in quella sorta di veglia serale, come si chiami la donna per cui stiamo pregando, lo sconosciuto mi risponde: «Quella è Nonna Speranza».
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