Un amico insegnante mi racconta una storia della scuola in cui lavora in un tipico paesino di provincia. Un bambino del primo anno, alle continue provocazioni di due bambini più grandi che insultano sua madre coi soliti appellativi da bar, dà uno spintone a uno di loro buttandolo a terra, così che i due lo prendono a pugni. Il ragazzino, scosso, ha un attacco di ansia e si sente male. La madre, a cui racconta tutto, chiede alla scuola di intervenire. Viene fuori che la scuola pur rimproverando i due bambini più grandi non vuole agire più severamente di così, primo per non rovinare la media dei due mettendosi contro gli altri genitori (a scuola, pare, hanno il terrore dei genitori); secondo perché il bambino più piccolo ha sbagliato a rispondere con la violenza alle provocazioni, e avrebbe dovuto dirlo agli insegnanti che avrebbero evitato la rissa; terzo, e qui sta il nodo nascosto della faccenda, perché la madre del bambino che è poco meno che trentenne e separata, viene additata dalla comunità come una facile, quindi il comportamento dei due bambini assorbe e riflette un pensiero comune che in parte li giustifica: hanno sbagliato a picchiare uno più piccolo, ma la sua mamma è quella che è. Tutto questo succede a noi, in pieno 2025, mentre parliamo di pace fra le potenze mondiali con la sicurezza di chi ha tutte le soluzioni in tasca. E a chi mi dice che sono cose diverse io rispondo che no, cambia forse la scala di proporzione, ma non sono cose tanto diverse.
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