Non avevo mai considerato prima il chiacchiericcio dei bevitori che ammantava gli spettacoli di Shakespeare, alla metà del ‘500, durante le tournée in giro per pub. C’erano strutture fatte apposta, è vero, ma il pubblico migliore lo trovavi fra beoni e sognatori d’ogni risma, puzzo rancido di sudore e piscio misto all’alcol, spifferi autunnali. Era il chiacchiericcio a riportare i versi sulla terra, a dare un peso indispensabile a ogni parola rubata al chiasso del bancone, nella battaglia della voce per affermarsi sulla vita intorno. Anche ieri, verso mezzanotte, due ragazzi inglesi interpretavano Romeo e Giulietta come da secoli, la scena del balcone miracolosamente trapiantata in una piazza italiana, e il pubblico del pub vicino stava fuori, nel primo freddo di settembre, a guardarli con gli occhi e i sorrisi spalancati. Il pubblico parlava, sovrapponendosi agli attori, costringendoci tutti ad aguzzare le orecchie, come quando da bambini si cercava di distinguere il passo del granchio fra gli scogli. Cercavano anche loro la poesia nell’altra lingua, illusi dal suo suono indecifrabile, ma la vita come sempre ha avuto il meglio, rapita e incuriosita dal momento, dal biancore delle cosce di Giulietta.
1 commento:
è poesia anche questa Lill
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