uno spino di luce sfuggito
al gran male del mondo.
*
La primavera indossa il vespero più bello
mi crescono sulle unghie lune amare
anche un minuto solo di tregua
la mia miseria è farmi uccello
che canta all’alba
la sua vita in un pugno di piume.
*
Tu non sapevi scrivere
ma quante cose avresti voluto lasciare
parlavano i tuoi occhi azzurrissimi
i segni sul viso a contenere vite
le tue mani grandi tenevano fermo il mio corpo
non la morsicatura alla lingua
soltanto erano più bianchi i tuoi capelli
pallidi e trasparenti gli occhi
ma ancora belli e profondi
stille di olio Santo nel letto della tortura
un bacio sospeso al mio male
nei tuoi pugni quella sera ho messo il mio cuore
e una lettera
(tu non sapevi leggere…)
Le poesie che pubblico vengono da I colori dei precipizi, poemetto del 2011 di Michelangelo Camelliti sulla malattia che crea distanza, e che tanto mi ricorda certe mie ricerche (e vicende) attuali.
Ho incontrato Camelliti una sola volta nella mia vita, a Roma nel 2007, gli avrò parlato meno di cinque minuti. Era l’8 dicembre e lui era vestito di bianco, con una bella sciarpa di seta viola e portava i sandali. Aveva la barba lunga ma curata, e io pensai che fosse il classico poeta radical-chic. Un anno dopo, tramite un comune amico, è diventato l'editore del mio primo libro. L’ho sentito al telefono per concludere l’accordo e, a distanza, era già una persona più seria, pratica, parlava con disinvoltura di soldi. Per la verità all’inizio mi ha scambiato per un altro, Lillo Gullo, famoso poeta siciliano, e io pensai chissà, mentre mi parlava, forse vuole Gullo e non me, ha fatto il numero sbagliato e ora mi pubblica per non ammettere l’errore. Il dubbio mi è rimasto, anche perché altri, poi, mi hanno assicurato che è un gran distratto.
Ora lo ritrovo qui, fra queste righe dedicate a suo padre, accomunato da una tristezza che conosco bene ma che in fondo non è la mia, perché, per quanto se ne dica, ognuno è solo nel proprio dolore. E anche se troviamo qualcuno, per scelta o per caso, con cui riusciamo ad aprirci ed esprimere così l’un altro dei sentimenti che sembrano simili, fraterni, è solo roba di poco, un’ora, un istante di pura comprensione, perché le immagini non combaciano mai perfettamente. Per questo di tali istanti dobbiamo essere grati, sono beni preziosi.
Ho incontrato Camelliti una sola volta nella mia vita, a Roma nel 2007, gli avrò parlato meno di cinque minuti. Era l’8 dicembre e lui era vestito di bianco, con una bella sciarpa di seta viola e portava i sandali. Aveva la barba lunga ma curata, e io pensai che fosse il classico poeta radical-chic. Un anno dopo, tramite un comune amico, è diventato l'editore del mio primo libro. L’ho sentito al telefono per concludere l’accordo e, a distanza, era già una persona più seria, pratica, parlava con disinvoltura di soldi. Per la verità all’inizio mi ha scambiato per un altro, Lillo Gullo, famoso poeta siciliano, e io pensai chissà, mentre mi parlava, forse vuole Gullo e non me, ha fatto il numero sbagliato e ora mi pubblica per non ammettere l’errore. Il dubbio mi è rimasto, anche perché altri, poi, mi hanno assicurato che è un gran distratto.
Ora lo ritrovo qui, fra queste righe dedicate a suo padre, accomunato da una tristezza che conosco bene ma che in fondo non è la mia, perché, per quanto se ne dica, ognuno è solo nel proprio dolore. E anche se troviamo qualcuno, per scelta o per caso, con cui riusciamo ad aprirci ed esprimere così l’un altro dei sentimenti che sembrano simili, fraterni, è solo roba di poco, un’ora, un istante di pura comprensione, perché le immagini non combaciano mai perfettamente. Per questo di tali istanti dobbiamo essere grati, sono beni preziosi.
3 commenti:
belissimi i versi
Perle.
Francesca
parole che fanno pensare
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