Continuo ad addentrarmi nella lettura di Giorgio Caproni, Il muro della terra, Il franco cacciatore, e non capisco come faccia a piacer tanto, a così tanti, una poesia talmente terrorizzante. In Caproni non c'è niente di “piacevole”. La sua ironia è beffarda. Le sue opere sono piene di spettri, di voci dall’oltretomba che si aggirano in un paesaggio nebbioso, metafisico, dantesco: l’enorme foresta popolata di cacciatori senza volto, mastini sulle tracce di fuggiaschi, esiliati, bestie feroci di fattura medievale, in cui non c’è Dio, né consolazione, né salvezza, non c’è nemmeno la Parola che possa dar conforto, tutto è terribilmente buio, sfuggente, ingannevole, nulla ha più senso. E l’unica cosa certa è una morte senza fine che arriva sempre all’alba.
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