Sei stato un grande giornalista e un pessima persona, ma pessima in maniera giusta, buona. Sempre diretto verso una nuova storia. Eri controcorrente, esagerato. Matto come pochi. Mi dicevi sempre che noi due non potevamo non essere amici, perché eravamo due porci. Però io dovevo farne di strada per raggiungerti, perché non reggevo l’alcol come facevi tu, e uno scrittore sobrio non s’è mai visto. Alcol e donne, non riuscivi a smettere di cacciarti nei guai. Però prima di tutto veniva il lavoro, la notizia. E come ti incazzavi quando non ti pubblicavo un pezzo. Eri l’unico a chiamarmi direttore con serietà, e mi dicevi poi, per incoraggiarmi: “Nel giornalismo non esiste democrazia. Tu ordina e io ti seguo, però ricordati che ci si può anche ammutinare”. L’ultima volta che ci siamo visti, quella del tuo ammutinamento, indossavi una camicia a fiori orrenda e ci siamo bevuti due grappe contro il freddo pungente. Mi hai abbracciato e mi hai detto: “Siamo sempre amici noi due, non preoccuparti”. Però non mi volevi più attorno. Eri già pronto al tuo ultimo viaggio, quello verso la solitudine. Sei stato un grande giornalista e un buon amico. E ti ho voluto bene, anche se starti dietro non è mai stato facile. Ciao Paolo.
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