Il martedì controllo ospedaliero.
Mi salva dalla noia in sala attesa
Alfonso Guida che canta la «polvere
cadere dai muri verde-acqua di ogni
stanza». Non ci sono sedie vuote
in questo carico di morte preannunciata.
Né pace
nell’avvilente brulicare della carne
di vecchio che si affaccia con la lista
delle prescrizioni – l’ago conficcato
nel braccio per l’innesto necessario
di dolore che abbiamo da spartirci
morso a morso, vero corpo e vero sangue
di Cristo. Sfacciata all’improvviso
balugina nel solco d’emergenza
un’infermiera soda e assai bellina
nella divisa ancora immacolata
di neo segnata dalla morte. In lei
si avanza una carica ferina che scoppia
nel suo petto salutare
per noi che stiamo immobili in attesa
che si sprigioni il male. Lei passa e
ci sorride e in quella luce verdolina
richiama la mia carne al suo patire
l’istinto irrimediabile alla vita
che spinge ad obbedire
«senza morte al presente, al suo gioire»
la prepotente smania di ragazzo
di morderle mai sazio le mele.
Nulla è perduto! – mi dico
se il vecchio puntandole il fianco
mi preme sul gomito e l’ago
mi rincresce nella carne ormai nemico.
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