Una delle gioie più grandi che sto provando in questi giorni mi viene dal fatto che quei pochi avventurosi che hanno comprato il mio libro di racconti, quando ho chiesto loro quale fosse la storia che preferivano, mi hanno risposto tutti in maniera diversa, indicando ora un titolo ora un altro, che per me è la prova più evidente che abbiamo fatto un buon lavoro, creando un’opera minuta ma trasversale che può catturare l’attenzione di più persone. Non è cosa da poco per me. Alla fine, se ci ho messo tanto a pubblicare un libro così è perché ho sempre avuto paura di non essere abbastanza bravo e di non avere nulla di importante da dire. Il fatto di avere scoperto che non fossi il solo a pensarlo un po’ mi conforta, nel senso che mi accorgo di come non fosse una mia paura infondata, ma un pregiudizio reale, di tanti, anche di alcuni miei amici. Credo sia l’ambiente in cui siamo cresciuti che sia, per sua stessa natura, eccessivamente competitivo, ma proteso allo svilimento piuttosto che all’incoraggiamento, qualcosa che tende a schiacciarti col pregiudizio che comunque non sei abbastanza buono per questo o per quello. Io ho cominciato in famiglia e non ho mai finito di sentirmelo dire. Dover ogni volta ricominciare da capo, persino a quarant’anni, per dimostrare di essere in grado di fare qualcosa di buono, è parecchio faticoso, talvolta ti sfianca. Però è anche vero che fa bene alla persona che sono diventato cercando di sopravvivere a tutto questo, uno che prova a dare leggerezza a tutto, persino all’aria che respira.
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